È la guerra del potere. Quella guerra che troviamo sintetizzata in una delle più note citazioni di Otto von Bismarck, quando in parlamento, al termine del suo discorso, dichiarò che i problemi si risolvono “Eisen und Blut” (col ferro e col sangue).
Oggi non è più tempo di ferro ma il potere il sangue lo sparge lo stesso. Basta poco. Una fuga di notizie ben orchestrata, l’offerta a un’opinione pubblica addomesticata e l’errata percezione che ne ha di una notizia reale ma monca, quando non addirittura alterata.
Quanto è credibile il mondo dell’informazione?
Per anni accusatore del potere politico, il giornalismo è finito con il fare parte dei giochi di potere.
Non affrettiamoci in conclusioni errate relegando l’intero mondo dell’informazione nel cassonetto della spazzatura. Non tutti sono uguali e non tutti siedono allo stesso tavolo da gioco.
La realtà è più sfumata. C’è ancora libertà nel mondo dell’informazione, seppure in misura limitata a causa del potere politico ed economico che controlla una larga parte dei media.
Il Palamaragate e la stampa
Così come per il giornalismo sarebbe un errore generalizzare, anche per il mondo giudiziario vanno fatti i dovuti distinguo.
Il Palamaragate non rappresenta certamente il 100% della magistratura italiana. Offre sì uno spettacolo indegno, ma non tutti i magistrati sono quello che il libro “Il Sistema” descrive.
Detto questo, non possiamo non notare come negli ultimi giorni quanto emerso dalla vicenda che ha visto coinvolto l’ex presidente dell’Anm, abbia aperto nuovi fronti di una sordida guerra.
La lotta per la più alta poltrona della procura di Roma, non è ancora finita.
Prova ne sia come la successione di Giuseppe Pignatone, che vede momentaneamente vincitore l’attuale procuratore Michele Prestipino (in attesa comunque del pronunciamento del Tar) sia diventata di gran lunga la questione più importante, persino rispetto allo scandalo che sta travolgendo il mondo delle toghe.
Il giornalismo gioca un ruolo vitale in questa lotta, venendo meno al suo ruolo di cane da guardia, alimentando l’intensità della competizione, desiderosi di sbavare alla corte del candidato più gradito.
Cosa sia diventato in parte il nostro giornalismo, lo si evince dagli atti giudiziari del caso Montante e da quanto emerso nella vicenda Palamara.
Dossieraggi commissionati, false notizie, assordanti silenzi.
I giornalisti hanno l’obbligo di riferire i fatti. Tuttavia, i fatti devono essere interpretati, selezionati e comunicati in maniera quanto più oggettiva in termini metodologici.
Il fatto
Nel caso Palamara, c’è un caso nel caso. È quello che riguarda la pm della Dda Alessia Sinatra e il procuratore di Firenze Giuseppe Creazzo.
La vicenda trae origine dalla chat tra la Sinatra e Palamara, emersa durante l’inchiesta a carico dell’ex presidente dell’Anm, da parte della procura di Perugia.
Una chat dalla quale si evince un forte risentimento da parte della pm della Dda nei confronti del procuratore di Firenze, definito più volte “il porco”.
Il momento è quello della nomina del successore di Giuseppe Pignatone al vertice della Procura di Roma, ma quello che traspare dalle parole della Sinatra è un odio profondo che va ben al di là dei giochi delle correnti e degli interessi per la nomina del nuovo procuratore.
È un risentimento personale, qualcosa di intimo che spinge la magistrata a non usare mezzi termini nei confronti di Creazzo.
La chat privata tra i due magistrati Sinatra e Palamara, finisce sulla stampa, e non può non avere conseguenze, poiché anche la Procura generale della Cassazione ne viene in possesso ed è chiamata a valutare le espressioni violente usate contro il procuratore di Firenze.
Si scopre così che alla base degli insulti ci sarebbe un incontro tra la Sinatra e Creazzo, avvenuto cinque anni fa in un albergo di Roma, quando in ascensore il procuratore avrebbe fatto delle avances alla Sinatra manifestando un trasporto inammissibile verso la collega.
La Sinatra, dinanzi la Procura generale della Cassazione che l’ha interrogata, conferma tutto. Creazzo nega ogni addebito, e poiché la Sinatra a suo tempo non aveva mosso alcuna querela nei suoi confronti, ottiene l’archiviazione del procedimento penale aperto a suo carico.
L’archiviazione dell’indagine penale, però, non chiude la pratica davanti al Csm, la cui Prima commissione ha il compito di valutare la compatibilità dei magistrati con la funzione che ricoprono o il territorio in cui operano.
La tempistica
I momenti in cui la Sinatra rievoca il fatto, sono due. Il primo, nell’immediato, quando confida il presunto comportamento scorretto di Creazzo nei suoi confronti. Il secondo, anni dopo, quando in prossimità della nomina del nuovo procuratore di Roma Creazzo si candida a occupare il posto dell’uscente Pignatone.
È in questo secondo momento che la Sinatra manifesta nella chat con Palamara tutta la sua rabbia nei confronti del procuratore di Firenze reo di quell’episodio evidentemente mai dimenticato dalla pm della Dda.
La mancata querela
Che la Sinatra non querelò Creazzo, è uno dei pochi dati di certezza che abbiamo in questa brutta pagina che vede coinvolti due magistrati di primo piano.
Proprio la mancata querela è stata la ragione per la quale si è potuto, sotto il profilo penale, archiviare il caso, ed è sempre la mancata querela che è stata oggetto di valutazioni anche critiche nei confronti della magistrata.
Perché non lo querelò?
La domanda è legittima. Secondo la versione data dalla Sinatra, la risposta è una sola: tutelare il buon nome della magistratura!
Non è difficile, ed è anche legittimo, chiedersi quale sarebbe stato il comportamento della pm nel caso in cui il molestatore fosse stato un uomo appartenente a una diversa istituzione; e non è neppure difficile immaginare che se i protagonisti dell’episodio non fossero stati appartenenti a quell’istituzione, bensì due qualsiasi cittadini, la pm avrebbe consigliato alla vittima di adire le vie giudiziarie.
Detto questo, rimane il fatto. Un fatto che sta tutto in quel “porco” con cui la Sinatra indica il presunto molestatore.
Uno sfogo tra lei e Palamara, che mai avrebbe immaginato sarebbe diventato di pubblico dominio, con tutte le conseguenze che ne stanno derivando: due magistrati (lei e Creazzo) nell’occhio del ciclone.
Il giudizio disciplinare
Eh sì, la chat incriminata, diventa un caso. Il procuratore generale presso la corte di Cassazione, Giovanni Salvi, vuol vederci chiaro e decide di mandare a giudizio disciplinare entrambi i magistrati. Uno per le presunte molestie, l’altra per il tentativo di utilizzare l’episodio per una sorta di vendetta personale intervenendo su Palamara affinchè ostacolasse la corsa di Creazzo alla poltrona di Roma.
Che i termini utilizzati dalla Sinatra non siano stati il massimo dell’eleganza, è indiscutibile, ma resta il fatto che si tratta di una persona ferita e che lo scambio di messaggi era il contenuto di una chat privata che tale sarebbe rimasta se non fosse scoppiato il Palamaragate.
La prima guerra per Roma
Il 23 maggio 2019, Marcello Viola è il candidato più votato dalla Quinta commissione del Consiglio Superiore della Magistratura per prendere il posto dell’uscente Giuseppe Pignatone, con i suoi 4 voti rispetto al voto singolo andato agli altri due candidati, Francesco Lo Voi e Giuseppe Creazzo.
Pochi giorni dopo, sulla stampa scoppia il Palamaragate che di fatto blocca la nomina di Viola.
A seguito del caso Palamara la Commissione formula nuove proposte di conferimento dell’incarico indicando in Francesco Lo Voi, procuratore di Palermo, nel procuratore di Firenze Giuseppe Creazzo e in Michele Prestipino, già facente funzioni dell’uscente Pignatone, i tre candidati alla nomina di procuratore capo della capitale.
Al termine, la nomina di procuratore della Repubblica viene assegnata a Prestipino.
Una partita chiusa?
Assolutamente no. I tre candidati del primo turno, Marcello Viola, Giuseppe Creazzo e Francesco Lo Voi, presentano ricorso al Tar contro la nomina di Michele Prestipino.
La partita potrebbe essere ancora tutta da giocare, poiché la pronuncia dovrebbe essere nota entro i prossimi giorni.
Tanto Creazzo, quanto Lo Voi, per ragioni diverse sono stati al centro della vicenda Palamara. Creazzo a causa delle presunte avances alla Sinatra; Lo Voi, in quanto oggetto della nomina a procuratore di Palermo, rispetto la quale lo stesso Palamara evidenzia non poche anomalie che fa risalire all’intervento del Quirinale (Napolitano presidente) e a Giuseppe Pignatone.
Una corsa, dunque, che vede due concorrenti in difficoltà.
L’unico sul quale poi non è emerso nulla, se non il fatto che fosse all’oscuro delle trame per la nomina del nuovo procuratore di Roma, e che delle stesse sarebbe stato vittima, il procuratore generale di Firenze Marcello Viola. Quello stesso magistrato che lo Spina, all’epoca consigliere del Csm, definì “l’unico non ricattabile”.
Comincia la seconda guerra – Il complotto
Come accadde la prima volta con la fuga di notizie riportate prontamente dalla stampa, ancora una volta è una testata giornalistica che lancia il sasso nello stagno.
L’articolo di Stefano Brogioni per La Nazione, dal titolo “La grande accusatrice e la foto a Firenze Un antipasto della battaglia per Roma”, sembra essere il preludio di un gioco al massacro che tende ancora una volta ad annientare la candidatura di Marcello Viola.
Cos’ha scoperto Stefano Brogioni di così eclatante? Una foto.
Una foto compromettente per Viola? Una storia piccante? Incontri per indicibili accordi? Nulla di tutto questo.
Si tratta di una foto scattata Il 27 settembre del 2016, quando Marcello Viola giura in occasione del suo incarico di procuratore generale di Firenze. Per il giornalista, la foto “consegna uno schema degli schieramenti che si sfideranno”.
Motivo? La presenza, in quell’occasione, della Sinatra e di Cosimo Ferri, intercettato con Palamara la notte dell’hotel Champagne.
La Sinatra si sarebbe precipitata da Palermo a Firenze per non mancare all’insediamento del nuovo procuratore generale.
Ebbene? Ebbene sì, come può il giornalista non collegare la presenza della Sinatra all’insediamento di Viola, se non con il fatto che siano amici? E cosa c’è di meglio per ricordare ai lettori che la questione delle presunte avances per le quali il procuratore generale presso la corte di Cassazione Giovanni Salvi ha deciso di mandare a giudizio disciplinare entrambi i magistrati, “nasce dalla donna che avrebbe messo all’angolo Creazzo, (che) è molto amica di Viola”?
Peraltro, Brogioni riporta come secondo il libro-intervista di Palamara, proprio il rischio dello scandalo relativo alle molestie di Creazzo (che nega tutto) alla Sinatra, avrebbe fatto “virare” (il termine è del giornalista e ricorda tanto, forse troppo, l’errata trascrizione dei finanzieri che intercettarono le parole di Lotti: si “vira”, anziché si arriverà…) su Viola la scelta per la nomina a procuratore di Roma.
Viola, dunque, molto amico della Sinatra. Ma c’è di più. Il giornalista allude al fatto che per “virare” su Viola si sarebbe agitato “lo spettro di un esposto a Genova (che riguarda l’amicizia tra il procuratore capo di Firenze e il chirurgo Giuseppe Spinelli e una “non indagine” su quest’ultimo, fascicolo oggi archiviato) ma non si fa accenno al ‘pericolo’ Sinatra”.
Peccato che la vicenda delle molestie sarebbe avvenuta già prima della cerimonia fiorentina (e questo Brogioni lo scrive), e che nonostante la Sinatra non avesse querelato Creazzo, si trattava di un fatto noto ad altri già a suo tempo (ma questo Brogioni non lo scrive), poiché oggetto di uno sfogo della stessa pm.
La maionese impazzita
È il 15 maggio 2019, quando Alessia Sinatra scrive a Luca Palamara “E il porco non deve per nessun motivo al mondo”.
La Sinatra non sa del trojan, Viola non è ancora stato votato al Csm, lo scandalo non è ancora scoppiato.
Eppure, l’insulto è lo stesso che adopererà nei giorni successivi. Lo chiama così perché è molto amica di Viola – come sottolinea l’autore dell’articolo – o per quanto, a suo dire, era accaduto in precedenza?
La domanda è retorica, non serve l’acume di un’aquila per darsi una risposta.
Perché allora il giornalista tira fuori una foto vecchia di anni per dire che Viola e la Sinatra sono amici?
Anche questa domanda è retorica. Allusioni a rapporti personali, rapporti di conoscenza con soggetti che poi verranno coinvolti nella famosa cena all’hotel Champagne, offrono al lettore quella maionese impazzita i cui ingredienti sono alla base del più putrescente fango dei pantani.
Dico tutto per non dire nulla… e la macchina del fango si è messa in moto.
Viola, se dovesse vincere al Tar il ricorso contro Prestipino, potrebbe ritrovarsi ancora una volta in pole position. E ancora una volta, a farlo fuori, potrebbe essere uno schizzetto di puro fango. Magari una foto vecchia di anni, dalla quale nulla si evince, neppure volendoci fantasticare su.
Chissà se sfogliando l’album fotografico dei ricordi di altri magistrati non possano venir fuori decine o centinaia di foto scattate in occasione di cerimonie, convegni o anche semplici incontri occasionali.
Chissà che non ce ne siano degli stessi magistrati oggi esposti a questa gogna mediatica, ritratti con altri i cui nomi non sono oggetto di tutte queste attenzioni. Foto innocenti sulle quali non ci sarebbe nulla da ridire, salvo che al momento opportuno non si trasformino nel più bieco strumento di killeraggio mediatico.
Cui prodest?
Come avrebbe scritto Brogioni, “un antipasto della seconda battaglia per Roma”?
Gian J. Morici
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