Per l’accusa avrebbe storto del denaro ad amministratori locali minacciandoli che se si fossero rifiutati li avrebbe attaccati mediaticamente.
Pino Maniaci per anni era stato protagonista di storiche battaglie antimafia grazie all’emittente Telejato della quale era direttore.
A seguito di un’indagine della Dda di Palermo portò all’arresto di 10 esponenti del clan di Borgetto, venne fuori il nome del giornalista che stando all’accusa avrebbe estorto somme di denaro e favori ai sindaci di Partinico e Borgetto e ad un assessore comunale di Borgetto.
Partendo da una intercettazione ambientale – a carico di un sindaco – si decise di mettere sotto controllo il direttore di Telejato per presunte estorsioni da poche centinaia di euro (200 – 300 euro) e la richiesta di un contratto a termine per una donna al comune di Partinico.
Maniaci – in molti specie in questo momento lo dimenticano –fu il primo a condurre un’indagine giornalistica sulla gestione dei beni sequestrati alla mafia, tanto che dalle intercettazioni rese note da Le Iene si evinceva chiaramente l’ossessione che l’ex presidente della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, Silvana Saguto, aveva di Maniaci.
E’ chiaro il suo interessamento per sapere quando lo avrebbero arrestato, le lagnanze in merito al ritardo dell’operazione che gli avrebbe tolto dagli zebedei quello “stronzo di Telejato che evidentemente se la prende con il sistema”, accusando i colleghi della Procura di Palermo che, a suo dire, se la prendono comoda a chiudere le indagini su Maniaci: “Se quei coglioni della Procura indagassero su Maniaci – dice al figlio – l’avrebbero già arrestato, solo che non è che io ho persone, ho coglioni”.
La richiesta a undici anni e mezzo di carcere per il direttore di Telejato Pino Maniaci “è eccessiva, sono pene che si chiedono di solito per un capomafia” dice all’Adnkronos l’avvocato Antonio Ingroia, ex Procuratore aggiunto di Palermo che oggi difende Maniaci, accusato di estorsione e diffamazione. “Leggeremo la corposa requisitoria del pm che ha depistato l’accusa e quando faremo l’arringa difensiva contesteremo punto per punto ogni fatto.
Questo è uno di quei casi in cui il pm avrebbe dovuto chiedere l’assoluzione per l’imputato tenendo conto del risultato dibattimentale. Da una parte il pm sembra essersi fermato a prima dell’istruzione dibattimentale – prosegue Ingroia – l’accusa ha ribadito le acquisizioni della fase delle indagini ignorando le risultanze del processo in cui ci sono stati tanti testi e presunte persone offese che per primi hanno detto di non avere subito nessuna estorsione. I pm hanno ignorato questi aspetti”.
Sulla vicenda della richiesta a oltre 11 anni di carcere per Maniaci, è intervenuto anche Pietro Cavallotti, la cui storia familiare e imprenditoriale è strettamente legata alla gestione dei beni sequestrati alla mafia (anche laddove da tali accuse era scaturita l’assoluzione).
“È fin troppo facile dare solidarietà e manifestare vicinanza quando, dopo avere voltato le spalle, dopo avere dubitato, dopo avere sputtanato, arriva l’assoluzione” – scrive Cavallotti sulla sua pagina Facebook.
“Non ho bisogno di alcuna sentenza per ribadire il mio supporto morale a Pino Maniaci, giornalista integerrimo che ha avuto il coraggio (a caro prezzo pagato) di denunciare il malaffare attorno alla sezione misure di prevenzione del Tribunale di Palermo. E lo ha fatto in un momento storico in cui era tabù semplicemente “dubitare”.
Non mi serve alcuna sentenza per sapere chi è Pino. La sua storia parla (e parlerà per sempre) più chiaro di qualunque verdetto.
Indipendentemente da come andrà a finire il processo che lo riguarda, a lui va la riconoscenza mia e di quanti – anche grazie a lui – continuano a sperare nel cambiamento.
P.S. È Singolare che per la Saguto, con 80 e passa capi d’imputazione, accusata di associazione a delinquere e tanti altri reati gravissimi, il PM aveva chiesto 15 anni.
Per Pino, accusato di una presunta estorsione di 200 euro + Iva, ne vengono chiesti 11. Dove sta la proporzione?” – si chiede Cavallotti.
Non vogliamo entrare nel merito della vicenda giudiziaria che vede coinvolto Maniaci, trasformandoci in innocentisti o colpevolisti dell’ultima ora, ma quel che appare fin troppo evidente è la discrasia tra talune richieste di condanna, o condanne comminate, rispetto altre che ben altro spessore criminale denotano che non quello presunto del giornalista Maniaci.
Maniaci probabilmente non risulta simpatico a tutti e forse non lo è, ma certamente non è l’erede di totò Riina, al quale – quella stessa giustizia che chiede oggi per Maniaci 11 anni e mezzo di carcere – comminò la prima condanna, con l’accusa di omicidio, di appena 12 anni di carcere per aver ucciso un suo coetaneo.
Dura lex, sed lex (non sempre allo stesso modo)!
Gjm
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