Un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova, suggeriva Agatha Christie, ma la vicenda della nomina a capo della Procura di Roma non può essere risolta come un caso di letteratura gialla. Il principio investigativo di Agatha Christie può andar bene nella stesura di un giallo, ma non per l’autorità giudiziaria per la quale gli indizi restano indizi – anche se gravi e più di uno – e se anche si arrivasse a condanna di un imputato non si potrà mai dire che si siano state raggiunte prove certe della sua colpevolezza.
Il caso Palamara
L’inchiesta che riguarda Luca Palamara, ex magistrato, ex membro del Consiglio Superiore della Magistratura e più giovane presidente dell’ANM, sembra nascere nel giugno del 2018, quando sul tavolo dei magistrati di Perugia approda un fascicolo relativo a vicende legate alla presunta corruzione del magistrato che avrebbe incassato 40mila euro per sostenere la nomina Giancarlo Longo a procuratore di Gela (Palamara poi produrrà il verbale relativo alla nomina del procuratore dal quale risulta che Longo non ha ricevuto nemmeno un voto). Passano sei mesi prima che Palamara venga iscritto al registro degli indagati. Un’indagine come tante, che spesso in Italia finiscono in una bolla di sapone. Spesso, ma non sempre.
La successione di Giuseppe Pignatone
È l’8 maggio 2019, quando il procuratore di Roma, Giuseppe Pignatone, va in pensione. Si apre la corsa alla sua successione. Sono inizialmente tredici i candidati in gara, tra i quali Marcello Viola, Francesco Lo Voi e Giuseppe Creazzo. Il 23 maggio, Marcello Viola ottiene quattro voti favorevoli dalla V Commissione del Csm, contro un voto favorevole per ciascuno degli altri due candidati. È lui il nuovo procuratore in pectore.
Trascorrono appena sei giorni, quando a seguito a una fuga di notizie la stampa riporta di intercettazioni a carico del pm Luca Palamara, svelando trame occulte per la nomina del successore di Pignatone. Alla stampa viene dato anche il nome di Viola nonostante a suo carico non emerga nulla di rilevante. Scoppia il terremoto, lo scandalo travolge il Csm e cinque consiglieri togati si dimettono. La nomina di Viola resta nel cassetto.
Una coincidenza per Agatha Christie
La fuga di notizie ad appena sei giorni dalla nomina di Viola, un indizio? Così potrebbe sembrare, se non ci fossero altri “indizi” che lo rendono già una “coincidenza”.
Infatti, la prima volta in cui Palamara viene intercettato in merito alla nomina per la nomina alla procura di Roma – così come riporta Antonio Massari nel suo libro dal titolo Magistropoli – è datata 3 marzo 2019, mentre “la prima intercettazione dello stesso Viola, dalla quale si comprende chiaramente che è il candidato sul quale punta Palamara, è del 4 marzo. Subito dopo, la richiesta di inoculare il trojan nel cellulare di Palamara.
E il trojan svolge il suo compito, intercettando le conversazioni di Palamara presso l’hotel Champagne – 8 e 9 maggio 2019 – con i parlamentari Ferri e Lotti e altri consiglieri del Csm, nonostante la direttiva impartita alla Polizia Giudiziaria di spegnere il microfono ogni qualvolta nelle conversazioni di Palamara fosse stato coinvolto un parlamentare. Si tratta di incontri programmati, dei quali la Polizia Giudiziaria non può non sapere. Il captatore funziona, registra ciò che per direttiva non avrebbe dovuto registrare. Smette di funzionare, invece, lo stesso 9 maggio in occasione di altri incontri rispetto i quali non c’era l’obbligo di spegnare il microfono. Incontri dei quali non sapremo mai nulla.
“Per fortuna c’è il trojan”, aveva esordito l’accusa nell’illustrare quanto accaduto nella riunione dell’ 8 maggio 2019 all’hotel Champagne a cui parteciparono, oltre a Palamara e 5 ex togati del Csm, i deputati Luca Lotti e Cosimo Ferri che per l’accusa avrebbero pilotato e promosso la nomina del procuratore di Roma. Quella nomina di Marcello Viola che nulla sapeva e che venne definito dal pm Luigi Spina, all’epoca consigliere del Csm, come “l’unico che non è ricattabile”, mentre alcuni avrebbero voluto altre nomine , portando sempre lo Spina ad affermare: “Voi mettete uno che rischia di essere ricattato come è stato ricattato Pignatone”.
Viola parte offesa
Che Viola sia stato vittima delle eventuali manovre per la nomina alla successione di Pignatone, ce lo dice lo stesso Csm che lo definisce “parte offesa rispetto alle macchinazioni o aspirazioni di altri”, seppure illegittimamente – come sostenuto dagli avvocati
Girolamo Rubino e Giuseppe Impiduglia, che hanno impugnato innanzi al Tar Lazio Roma i provvedimenti con i quali Prestipino Giarritta è stato nominato procuratore della Repubblica di Roma, lo stesso Csm ha illegittimamente revocato l’originaria proposta a favore di Viola senza esternare alcuna motivazione idonea a giustificare il cambio di indirizzo e non formulando nei suoi confronti alcuna nuova proposta.
È ancora Antonio Massari nel suo libro dal titolo Magistropoli, a evidenziare come “va precisato – e il dato è pacificamente assunto dalla stessa accusa – che il procuratore generale di Firenze, Marcello Viola, nulla ha mai saputo delle strategie adoperate per la sua nomina come procuratore di Roma, né degli attori che le perpetravano. Tantomeno quindi – e non solo per la sua indiscutibile professionalità – possiamo immaginarlo nel prendere qualsivoglia impegno tipo di impegno in proposito. Riguardo queste accuse – per dovere di cronaca – bisogna aggiungere che Lotti ha sempre sostenuto di non sapere che quella notte, all’hotel Champagne, si sarebbe dovuto discutere della nomina di Viola ma che, invece, immaginava di dover affrontare il “nodo” Ermini e si sentiva legittimato a farlo proprio perché, con Ferri e Palamara, ne aveva determinato la candidatura a vice presidente del CSM, incassandone poi l’elezione”.
La prova, per Agatha Christie
Il numero di indizi è tale che in un giallo avrebbe già fatto prova, facendo arrestare tutti i colpevoli. Neppure il dialogo tra Luca Palamara, Luca Lotti, Cosimo Ferri e altri consiglieri del Csm, la notte tra l’8 e il maggio 2019, quando – così come pubblicato dal Fatto Quotidiano – Ferri, Palamara e Morlini conteggiavano i voti per comprendere quante possibilità avesse Marcello Viola di ottenere la guida della Procura di Roma. Lotti, appena arrivato, avrebbe pronunciato la frase: “Si vira su Viola, sì, ragazzi”. Peccato che quella frase non fu mai pronunciata e che Lotti avesse detto “Si arriverà su Viola, sì, ragazzi”. Un errore di trascrizione? – (non l’unico) del Gico della Guardia di Finanza, scrive il Fatto.
Sinatra, Creazzo e Palamara
Mentre Viola resta tagliato fuori, vengono fuori ben altre chat, come nel caso di quelle tra Creazzo, procuratore di Firenze, e l’onnipresente Luca Palamara.
Ne scrive Paolo Comi nell’articolo dal titolo “Anche Creazzo pressava Palamara, le chat tra il procuratore di Firenze e lo zar delle nomine”, pubblicato da “Il Riformista” il 25 novembre.
Si tratta della chat tra “Luca Palamara, ex zar degli incarichi al Csm, ed Alessia Sinatra, vice presidente dell’Anm e pm alla Dda di Palermo”. Una chat che trasuda dell’odio della Sinatra nei confronti del procuratore di Firenze, Giuseppe Creazzo, definito dalla stessa “il porco”. “Sinatra – scrive Comi – è terrorizzata che Giuseppe Creazzo, il procuratore di Firenze, possa diventare il successore di Giuseppe Pignatone. Palamara, Sinatra e Creazzo sono di Unicost, la corrente di centro delle toghe”.
Si tratta di sfoghi che costeranno alla Sinatra un disciplinare da parte del procuratore generale della Cassazione Giovanni Salvi. Una chat, quella tra la magistrata siciliana e lo zar delle nomine, che sembra vederli concordare sul fatto che Creazzo non debba essere il successore di Pignatone. Una storia con finale a sorpresa. Palamara, infatti, nonostante sembri appoggiare la Sinatra che non lesina insulti al collega Creazzo, proprio con quest’ultimo intrattiene un ottimo rapporto, tanto che è lo stesso Creazzo a scrivere a Palamara lamentando di essere rimasto con un solo aggiunto su tre, pregandolo di considerare l’opportunità di deliberare presto sul posto messo a concorso fin da marzo 17. Una cortesia non si nega a nessuno, a maggior ragione con chi si intrattengono ottimi rapporti, e Palamara risponde che il giorno precedente è stata fatta una ricognizione dei posti e come primo atto della Commissione provvederà senz’altro il più velocemente possibile a coprire il posto di aggiunto.
“A maggio del 2018, quando mancano pochi mesi alla fine della consiliatura, la macchina delle nomine al Csm sta andando a pieno regime – scrive Comi – Nella partita degli incarichi si inserisce Cosimo Ferri, magistrato in aspettativa e parlamentare del Pd, con il quale Palamara sta stringendo un patto di ferro, abbandonando la sinistra giudiziaria di Area. Ferri è il leader ombra di Magistratura indipendente, la destra giudiziaria. Il primo frutto del patto Ferri-Palamara sarà la nomina di David Ermini (Pd) a vice presidente del Csm qualche mese più tardi. «Carissimo Luca oggi (il 30 maggio 2018, ndr) ho incontrato Cosimo Ferri che mi ha espressamente chiesto chi preferisco per il terzo aggiunto fra i due di Mi. Se la scelta si riduce a questa ristrettissima rosa secondo me Dominianni (pm di Mi, ndr) è meglio per profilo e attitudini e per la circostanza, che ritengo ancor più decisiva, che non appartiene già a questo ufficio al contrario dell’altro e dunque porterebbe un rinnovamento, cosa sempre positiva. Questo è il mio pensiero, per quel che vale, nell’ovvio rispetto di ogni decisione che verrete a prendere. Ciao»”.
La risposta di Palamara non si fa attendere: «Carissimo Peppe ti volevo anche io parlare di questo provo a chiamarti domani e se capiti a Roma mi fa piacere se ci vediamo un abbraccio».
Palamara sembra un buon mazziere (ma è davvero così o qualcuno è stato più abile di lui?) in un gioco a carte dalle trame oscure, nel quale si alternano i nomi di personaggi di oggi e di ieri, compreso quello di Michele Prestipino, già vice di Giuseppe Pignatone e attuale procuratore di Roma dopo che è stato “fatto fuori” dalla corsa Marcello Viola, con una serie di coincidenze degne del miglior romanzo della più nota giallista del mondo, Agatha Christie.
“Luca – scrive la Sinatra a Palamara – ricorda sempre.. per quanto il nostro ambiente possa essere crudele.. nessuno è più spietato di Prest (Prestipino – ndr)”.
Non è un giallo, mille indizi, seppur gravi, non sono una prova, anche se talvolta, però, accade che sia sufficiente un solo indizio, una deduzione, un ragionamento non sempre logico, per sbattere in carcere qualcuno anche in assenza di prove. Ma queste sono altre storie.
Anche se la vicenda Palamara poteva rappresentare l’indizio principale del malcostume di un sistema che ha azzerato la fiducia nella magistratura; anche se il modo in cui è stato “fatto fuori” Marcello Viola, per Agatha Christie avrebbe rappresentato la madre di tutte le prove, passata l’emozione del momento, quella che ci ha fatto indignare e che in altri tempi ci avrebbe portato a uno scatto di legittimo orgoglio, tra qualche giorno sarà soltanto un ricordo. Un ricordo e nulla più, di quella che poteva essere la trama di un romanzo scritto dalla più grande giallista di tutti i tempi. A volte la realtà supera ogni fantasia ma mancano le prove, non certo i mille indizi…
Gian J. Morici
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