
Quello di Antonio Vaccarino, ex sindaco di Castelvetrano, è un caso che forse andrebbe riportato sui libri di storia a futura memoria, perché ci si ricordi di un Paese che visse un periodo di grandi incertezze.
Condannato il 16 maggio del 1997 dalla Corte di Appello di Palermo a sei anni e sei mesi per un presunto traffico di sostanze stupefacenti che aveva come base logistica l’aeroporto di Linate a Milano, sulla scorta delle dichiarazioni accusatorie rese dall’ex collaboratore di giustizia Vincenzo Calcara, che additava Vaccarino quale membro dell’associazione mafiosa – così come riporta l’articolo del giornalista Damiano Aliprandi, dal titolo “Caso Vaccarino: sì alla revisione della condanna”, pubblicato su ‘Il Dubbio’ – era stato assolto da quest’ ultima accusa che in primo grado lo aveva visto condannato dal Tribunale di Marsala a diciotto anni di reclusione. Il pm aveva chiesto per lui una condanna a 24 anni. Un’accusa poi ritenuta infondata dalla Corte di Appello di Palermo che, tuttavia, riteneva credibile le dichiarazioni del Calcara in ordine al solo reato di traffico di stupefacenti.

“Dopo anni di duro lavoro da parte dei legali per reperire atti, documenti e testimonianze – continua Aliprandi – si apre un nuovo spiraglio per l’ex sindaco di Castelvetrano Antonio Vaccarino. La Corte di Appello di Caltanissetta ha ammesso la richiesta di revisione della condanna a sei anni e sei mesi inflitta il 16 maggio del 1997 dalla Corte di Appello di Palermo”. Su chi sia l’ex pentito Vincenzo Calcara si sono sprecati fiumi d’inchiostro (così come riportato da Tp24 che ne fa una breve sintesi nell’articolo dal titolo “Ecco chi è l’ex pentito di mafia Vincenzo Calcara”).
Se esistesse un podio per presunti pentiti la cui inattendibilità è stata sancita da più sentenze e al ruolo depistatorio, relativamente alle stragi di Capaci e via D’Amelio, Calcara avrebbe un solo concorrente in grado di tenergli testa: Quel tale Vincenzo Scarantino che riuscì a fare infliggere condanne all’ergastolo a soggetti che con le stragi non c’entravano nulla.
“Vaccarino – scrive ancora Aliprandi – è attualmente in custodia cautelare presso il carcere di Catanzaro a seguito di una condanna in primo grado del 2 luglio scorso a sei anni di carcere. Secondo l’accusa avrebbe favorito la latitanza di Matteo Messina Denaro. Le prove? Aver fatto conoscere il contenuto di alcune intercettazioni tra due personaggi che non solo non facevano alcun riferimento al super latitante, ma che –secondo gli avvocati difensori – non avrebbero alcun contenuto rilevante. Infatti i due intercettati non risultano esser stati raggiunti da nessun avviso di garanzia. Il fatto è che Vaccarino collaborava con la procura di Caltanissetta proprio per avere informazioni riguardanti Matteo Messina Denaro. Informazioni che hanno avuto un contribuito importante per imbastire il processo a carico del superlatitante, poi concluso con una condanna all’ergastolo per essere stato uno dei mandanti delle stragi di Capaci e di Via D’Amelio.”

E Calcara? Ancora una volta Calcara ha un ruolo di tutto rispetto nelle vicende che riguardano Vaccarino, tant’è che ancora pochi giorni fa, sulla sua pagina Facebook, scriveva: “Mi sono recato anche al Tribunale di Palermo per poter fornire personalmente le mie dichiarazioni e tutte le sentenze dove mi ritengono attendibile (acquisite dal tribunale di marsala) al fine di smentire , l’ ex sindaco di Castelvetrano Antonio Vaccarino (che anche con le mie dichiarazioni che sono state acquisite dal Tribunale di marsala e’ stato condannato a sei anni di reclusione per rivelazione di segreto d’ ufficio e favoreggiamento a ‘cosa nostra’”
Quanto pesano dunque le dichiarazioni di Calcara? Non siamo giuristi e non spetta a noi sindacare l’operato dei giudici. Le sentenze non si discutono, tuttalpiù si appellano, anche se, come scrive ancora una volta Aliprandi, le motivazioni della
sentenza di primo grado (quella emessa a Marsala il 2 luglio scorso, con la quale lo hanno condannato a sei anni di carcere – ndr) tardano ad arrivare e la sua unica condanna definitiva, ora messa in discussione, ha avuto un peso per l’ennesima inchiesta giudiziaria nei suoi confronti.
Ma v’è di più. Vaccarino, detenuto, che non può essere considerato colpevole sino alla condanna definitiva, così come previsto dalla nostra Costituzione, è anche protagonista – suo malgrado – di una vicenda che riguarda un notevole numero di detenuti in attesa di giudizio, costretti a marcire in carcere nonostante le precarie condizioni di salute e nonostante l’Osapp, Organizzazione sindacale autonoma della polizia penitenziaria, dieci giorni addietro abbia manifestato “grave e motivata preoccupazione” per l’aumento del 600% dei casi di coronavirus nelle carceri, tra detenuti e personale penitenziario, in appena due settimane. Vaccarino, anziano, malato e in attesa di giudizio, così come altri, può rimanere in carcere.
Nonostante plurime richieste di revoca della misura custodiale in carcere presentate dagli avvocati Baldassare Lauria e Giovanna Angelo, regolarmente respinte dal giudice, nonostante i Ctu nominati dal tribunale di Marsala – e lo stesso giudice che ne rigetta le istanze presentate – evidenzino da mesi come senza l’installazione di un pacemaker il detenuto rischi un improvviso blocco atrioventricolare, Vaccarino rimane in cella in attesa che finisca il ping pong delle perizie, dei solleciti e dei mancati interventi, senza i quali un detenuto, per legge considerato innocente fino a sentenza definitiva, può anche essere tranquillamente esposto al rischio di una morte improvvisa, sol perché le sue sorti “sanitarie” non vengono da nessuno definite.
Come si spiega il fatto – evidenziato più volte nelle richieste presentate dalla difesa – che i Ctu, i quali avevano chiesto un esame di miocardioscintigrafia, avessero redatto una relazione proprio prima che fosse depositato l’esito dell’esame che loro stessi, lo ribadiamo, avevano chiesto?

Anche l’ultima istanza presentata dai legali di Vaccarino è stata respinta . Gli avvocati Lauria e Angelo avevano evidenziato (oltre al fatto che la situazione epidemiologica sta di fatto colpendo l’intera popolazione carceraria e che l’avanzata età dell’imputato e le gravi e molteplici patologie che lo affliggono non fanno altro che aumentare il rischio vita già ampiamente rilevato dai CTU e CTP) come nel corso dell’istruttoria dibattimentale è emerso in modo chiaro ed incontrovertibile la significativa distanza del loro assistito rispetto all’ambiente che si assume abbia favorito e che appare in astratto non più correlata con il supposto “pericolo di reiterazione del reato”; che non sussiste nemmeno in astratto, poi, il “pericolo di fuga”, non soltanto per la mancanza di elementi attestativi di detto pericolo, ma anche in relazione alle condizioni di salute cui versa l’imputato costantemente viaggiante tra il carcere e l’ospedale.
Se Vaccarino fosse infatti voluto fuggire, avrebbe potuto farlo tranquillamente quando dopo l’arresto e le prime due settimane di carcere il Tribunale del riesame di Palermo, nell’annullare l’ordinanza di custodia cautelare richiesta dalla Procura di Palermo, gli aveva restituito la libertà.
Alla luce di quanto sopra descritto, gli avvocati Baldassare Lauria e Giovanna Angelo avevano chiesto al Tribunale di Marsala, in via principale, di revocare la misura in atto per mancanza dei presupposti di legge e in subordine di sostituire la misura in atto con quella degli arresti domiciliari presso l’abitazione dell’imputato.
Orbene, forse per mera distrazione, o per eccessiva mole di lavoro alla quale sono spesso sottoposti i giudici, l’ordinanza emessa dal Tribunale di Marsala che rigetta la richiesta, riporta testualmente che la difesa “non ha formulato una istanza di revoca della misura in atto per mancanza dei presupposti di legge ma soltanto di sostituzione della stessa con una pena meno afflittiva”.
Serve dunque formulare richieste ben precise, se poi distrattamente non si tengono in alcun conto?
E Calcara, l’inquinatore di pozzi e pentito eterodiretto, gongola ancora per i successi ottenuti…
L’Italia è uno strano Paese, nel quale il possibile sembra diventare impossibile e l’impossibile pare sia possibile. Mentre ci sono detenuti in attesa di un giudizio definitivo che marciscono in carcere nonostante le precarie condizioni di salute, c’è chi condannato in primo grado a 22 anni di carcere per omicidio volontario, lascia subito la propria cella e ottiene il beneficio degli arresti domiciliari.

Appena pochi giorni fa, Antonio Pontoriero, un agricoltore di 45 anni, era stato condannato a 22 anni di carcere per aver ucciso il 2 giugno 2018 Soumaila Sacko, un bracciante del Mali, sindacalista, padre di una bimba, che venne fatto oggetto di “tiro a bersaglio” con un fucile detenuto illegalmente, mentre si trovava in un terreno abbandonato nelle campagne di San Calogero, nel Vibonese, dove si era recato con due amici in una fabbrica dismessa per recuperare delle lamiere per costruirsi la baracca.
Pochi giorni dopo la condanna, il presunto omicida (anche per lui vale la presunzione di innocenza fino a sentenza definitiva) lasciava il carcere per essere sottoposto al regime di detenzione domiciliare.
Non entriamo nel merito della vicenda processuale che non conosciamo, ma dinanzi un anziano ammalato detenuto in carcere, senza aver versato sangue innocente, e un presunto omicida condannato a 22 anni di carcere e già inviato ai domiciliari, è legittimo chiedersi in che direzione penda la bilancia della giustizia in questo strano Paese?
O forse è perché la vittima era soltanto un “nero”, un peccatuccio dunque veniale?
Anche questa è l’Italia di oggi, quella che merita di finire sui libri di storia…
Gian J. Morici
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