Un noir siciliano quello che vede protagonisti esecutori e vittime provenienti dagli ambienti giudiziari. Un romanzo, come nel più classico dei noir, nel quale la vittima o le vittime si trovano ad affrontare un “sistema” che le costringerà a una guerra rispetto la quale hanno ben poche possibilità di vincere. Eppure, a volte accade.
(AGI) – Palermo, 29 giu. – E’ stato assolto dall’accusa di peculato il finanziere Calogero Pulici, assistente di polizia giudiziaria applicato per anni applicato alla segreteria dell’ex procuratore aggiunto della Dda di Palermo, Maria Teresa Principato. Il militare era accusato di essersi “impossessato di un pc desktop e una stampante” custoditi all’interno dell’ufficio del pm che per anni ha dato la caccia al latitante Matteo Messina Denaro. La procura aveva chiesto la condanna a quattro anni di reclusione, ma per il giudice Fabrizio La Cascia del Tribunale di Palermo “il fatto non sussiste”.
E’ il settimo procedimento concluso in assoluzione per Pulici, che in questi anni è stato imputato a Caltanissetta con l’allora procuratore di Trapani, Marcello Viola (dal 2016 procuratore generale di Firenze) e l’ex aggiunto Teresa Principato (dal 2017 alla Direzione nazionale antimafia): anche i due magistrati furono assolti. (AGI)
Ma chi sono i protagonisti di questo nostro noir? La vicenda, ancora una volta, si inserisce nel contesto di indagini che riguardano Matteo Messina Denaro e finisce con il coinvolgere due magistrati che al boss latitante davano la caccia; Marcello Viola, ex capo della procura di Trapani, procuratore generale a Firenze e di recente ostacolato nella corsa alla nomina di procuratore della capitale (definito dal pm Luigi Spina, all’epoca consigliere del Csm, come “l’unico che non è ricattabile”) e Maria Teresa Principato, ex procuratore aggiunto di Palermo, per anni impegnata nelle indagini sulla ricerca di Matteo Messina Denaro, oggi in servizio alla direzione nazionale antimafia.
Due magistrati accusati di rivelazione del segreto d’ufficio e poi assolti. Una vicenda che ha visto coinvolto l’appuntato della Guardia di finanza Calogero Pulici, ex assistente della Principato, che a seguito delle numerose accuse venne allontanato dagli uffici della procura nel settembre 2015.
In un primo momento le indagini a carico dei due magistrati impegnati nella caccia al latitante, avevano portato a ipotizzare l’aggravante dell’articolo 7, cioè di aver agevolato la mafia, poiché lo scambio d’informazioni avrebbe messo a repentaglio le indagini della Dda di Palermo. Una tesi spesso sostenuta dai magistrati nell’ambito di indagini sul latitante Matteo Messina Denaro, quando si intersecano attività investigative di altre procure.
È il noir nel noir, quello che vede la lista dei partecipanti non sempre protagonisti, non sempre comparse, e a volte soltanto vittime collaterali di quello che sembra essere soltanto un “incidente” tra procure. Un noir con un taglio cinematografico che mette a fuoco a turno vari gruppi di personaggi e storie parcellizzate da apparire come microstorie proiettate a ritmi veloci che si intersecano con repentini cambi di scena. Un noir giudiziario nel quale ognuno è protagonista e comparsa; nel quale non si va alla ricerca di una verità, per la quale si ha bisogno di una prova, ma di una verità precaria e provvisoria, idonea al raggiungimento di un risultato. Quale?
“Una circostanza singolare”, commenta l’avvocato Enrico Tignini, legale del finanziere Calogero Pulici. Il processo è scaturito dalle indagini del Nucleo di polizia tributaria di Palermo, che nel 2015 indagarono sul collega, in seguito all’allontanamento di Pulici dalla Procura, voluto dai vertici dell’ufficio giudiziario. In quei mesi il finanziere venne denunciato per stalking dalla moglie di un collega, ma il procedimento finì in archiviazione in fase d’indagini. “Mi fu detto che era venuto meno il rapporto di fiducia, lavoravo con la dottoressa Principato per quanto riguarda la caccia a Messina Denaro”, ha detto Pulici durante l’interrogatorio in aula. Nello specifico, secondo l’atto di accusa firmato dal pm Francesca Dessì – titolare del fascicolo, adesso in servizio alla Dda di Palermo – Pulici avrebbe sottratto i due “beni di cui aveva la disponibilità in ragione del proprio ufficio”, per donarli ad un’associazione sportiva con cui collaborava come allenatore. Entrambi i dispositivi, nel dicembre 2015, vennero consegnati dal presidente dell’associazione alla Guardia di finanza. “Sia il computer sia la stampante si trovavano nell’ufficio sin da prima che la dottoressa Principato ne prendesse possesso e quando nel 2011 siamo entrati mi pregò più volte di liberare la stanza da questi rottami”, ha detto Pulici durante l’interrogatorio, nel corso del quale ha ricostruito l’iter di smaltimento dei supporti informatici, elencando i vari uffici che ne vidimarono la rottamazione. (AGI)
Due magistrati accusati e poi assolti, un finanziere assolto per ben sette volte, una storia alla quale manca la soluzione finale del più classico dei polizieschi. Per questo è un noir, laddove l’ambientazione non è quella una periferia degradata, di un sobborgo malfamato, bensì quella di un ambiente giudiziario nel quale le azioni e gli eventi, sovente appaiono ovattati, non c’è violenza, o quantomeno la violenza è una violenza diversa. È un uso alternativo della giustizia che sembra nascere da genesi alternative in merito alle stragi del ’92, e alle conseguenti indagini volte alla cattura dei boss latitanti, l’ultimo dei quali è Matteo Messina Denaro.
Una guerra tra procure? Forse, con vittime collaterali, carriere e nomine da stroncare, perché si arrivi alla gattopardesca conclusione di cambiare tutto per non cambiare niente. Tanto, almeno un paio di volte l’anno, le prime pagine dei giornali riporteranno una qualche dichiarazione secondo la quale la cattura di Matteo Messina Denaro è ormai imminente. Che si faccia affidamento sul fatto che il boss stanco dell’ansia che simili notizie possono generare, decida di costituirsi?
Gian J. Morici
Tutti coloro che “si permettono” di impegnarsi nella cattura del maledetto Messina Denaro vengono stranamente bloccati e infangati giudiziariamente.