Quia ventum seminabunt, et turbinem metent. Chi semina vento raccoglie tempesta, recita un proverbio italiano, derivato dal libro del profeta Osea. E di vento ne stiamo seminando parecchio. L’odio dell’estremismo islamico lo abbiamo conosciuto con le stragi che hanno insanguinato l’Occidente e con le migliaia di vittime innocenti in Siria e in Iraq. Ma quante famiglie di jihadisti, hanno conosciuto sulla loro pelle il raccolto di quest’odio? Cosa ne è stato delle decine di migliaia di combattenti che hanno seminato morte e terrore nelle terre del Califfato?
Il terrorismo, quantomeno quello psicologico funzionale al successo di singoli individui che con pochi scrupoli condizionano le masse, è un fenomeno della cui portata ancora non ci rendiamo conto.
Allo stesso modo di come hanno fatto i predicatori dell’odio islamico, utilizzando i social per diffondere il loro nefasto pensiero e radicalizzare le menti più deboli, i nuovi predicatori occidentali stanno creando mostri che non esitano a mettere in atto la violenza dei contenuti di post e tweet che quotidianamente inondano i social.
I suprematisti bianchi (il cui nome evoca la barbarie del nazismo) gli xenofobi di casa nostra, gli omofobi, i sessisti, rappresentano le nuove leve di disturbati mentali pronti ad abbracciare le armi per colpire, in maniera insensata, chiunque si trovi ad attraversare la loro giornata di follia, a prescindere da razza, religione, sesso o credo politico. Nulla di diverso dagli autori del massacro del Bataclan, della folle strage di Nizza o le tante altre perpetrate da menti bacate infarcite dall’odio di falsi predicatori.
Dinanzi i massacri in Texas e Ohio, mentre Patrick Crusius, che ha ucciso 21 persone in un Walmart a El Paso, dopo aver condiviso messaggi che inneggiavano alla violenza contro i migranti, Donald Trump, nel definire un “crimine contro l’umanità” quest’assurda violenza, ha condannato il razzismo e il suprematismo affermando che sono ideologie che non devono avere posto in America e devono essere sconfitte, precisando che l’odio non ha posto in America.
Forse il presidente Trump non ha ancora capito che un conto è condannare, anche alla pena di morte, l’esecutore materiale del crimine, altro è la condanna di chi odio, razzismo, omofobia e sessismo lo predica quotidianamente, visto che sarebbe il primo a doverne rendere conto alla giustizia.
Inutile chiedersi perché il più ridicolo presidente che abbiano mai avuto gli Stati Uniti, a differenza dei predicatori d’odio dell’Islam più radicale e violento (come Anjem Choudary o altri che pur non avendo portato a termine attentati conoscono le patrie galere) non debba subire le stesse conseguenze di questi ultimi. La risposta è soltanto una: E’ il presidente degli Stati Uniti!
Un Occidente che ha perso il senso della misura, che vede nell’uomo forte che parla alla pancia del suo popolo la soluzione a problemi spesso immaginari o artatamente costruiti, non può che rispondere acclamando come un eroe chi dopo aver creato simili mostruosità accusa oggi Internet e i social media perché contribuiscono alla radicalizzazione delle persone. Ma Trump ha mai letto quel che pubblica su Twitter o su Facebook?
Se il pensiero delle masse incolte – e senza capacità di analisi e dotate di ridotto intelletto – è questo, non diverso è quello che pervade ogni singolo strato del tessuto sociale, compreso quello degli appartenenti alle forze dell’ordine.
All’interno di un gruppo segreto su Facebook (anche i terroristi dell’Isis utilizzavano i gruppi segreti) i 9500 membri del gruppo si dilettavano a scherzare sulla morte dei migranti e a pubblicare post sessisti.
Ma chi sono gli appartenenti a questo gruppo? Sono agenti ed ex agenti della polizia di frontiera (Border Patrol) che, oltre a pubblicare immagini volgari prendendo di mira politici come Alexandria Ocasio-Cortez, raffigurata in una performance di sesso orale con un migrante detenuto, hanno commentato compiaciuti la notizia di un migrante guatemalteco di 16 anni morto a maggio mentre era in custodia presso una stazione della polizia di frontiera a Weslaco, in Texas. Un membro del gruppo ha pubblicato una GIF di Elmo con la frase “Oh beh”, mentre un altro ha risposto con un’immagine e le parole “Se muore, muore”.
L’illustrazione fotografica – postata da un agente – di un sorridente presidente Donald Trump che costringe la Ocasio-Cortez a un rapporto orale, commentata con la frase “sono proprio puttane. Le masse hanno parlato e oggi la democrazia ha vinto”, la dice lunga sul grado di civiltà e sul significato che ha assunto la parola “democrazia” negli Stati Uniti di Trump.
Il fatto ancor più grave, è l’appartenenza di questi agenti, ed ex tali, a gruppi di suprematisti bianchi. All’inizio del 2018, gli investigatori federali (F.B.I.) hanno scoperto una serie di messaggi di testo razzisti e inquietanti inviati dagli agenti della polizia di frontiera dell’Arizona meridionale, dopo aver cercato il telefono di Matthew Bowen, un agente accusato di aver investito un migrante guatemalteco con un camioncino. I messaggi scoperti, che definivano i migranti come “gattine”, “sacchi di merda selvaggia”, “fagioli” e “subumani”, includendo ripetute discussioni sul rogo dei migranti, sono entrati a far parte di un fascicolo d’indagine del tribunale federale di Tucson.
A cercare di minimizzare l’accaduto, che vede coinvolti 97 agenti di polizia di Phoenix, attuali ed ex, per almeno 282 post riportati in un database (che tiene conto soltanto di quelli pubblici e non di quelli postati nei gruppi segreti) è il presidente del sindacato di polizia di Phoenix, Michael Britt London, che ha minimizzato le critiche sui post di Facebook che non rappresentano le migliaia di agenti che lavorano per il dipartimento.
Purtroppo, London non tiene conto del fatto che 11 poliziotti di Phoenix, inseriti nel database dei post pubblici su Facebook accusati di aver ucciso o ferito gravemente persone.
I post mostrano che gli agenti di polizia di Phoenix spesso si riferivano ai neri come “criminali”, chiedevano violenza contro i manifestanti, denunciavano i musulmani come stupratori e scherzavano sul rifiuto di aiutare i cittadini che criticavano la polizia.
Un’indagine del New Times ha scoperto che quattro degli ufficiali, i cui post erano inclusi nel database, erano stati accusati di aver ucciso persone . Sette degli ufficiali sono stati accusati di aver ferito gravemente persone.
Trentuno dei 97 ufficiali, i cui nomi compaiono nel database, erano stati citati in giudizio per abuso di autorità e uso della forza, mentre otto erano stati inclusi nell’elenco del procuratore Brady della contea di Maricopa, un elenco di ufficiali di polizia che sono notoriamente inaffidabili e disonesti e che dovranno rispondere delle loro azioni.
Post come quello del sergente di polizia Gary Gombar, che ha commentato un video con la foto di un camion insanguinato e con un cadavere straziato bloccato sul davanti, con la didascalia “ho appena attraversato Ferguson. Non ho visto alcun problema”, sono stati ignorati dai vertici della polizia, London compreso.
Sono circa 20.000 agenti di polizia che prestano servizio sotto il controllo dell’agenzia per la protezione delle dogane e delle frontiere degli Stati Uniti. Non poche le accuse di aver maltrattato bambini e adulti nel periodo di custodia, che ha costretto alle dimissioni il capo ad interim dell’agenzia, John Sanders.
ProPublica, che ha condotto una seria inchiesta sulla vicenda – così come hanno fatto il New Times, Arizona Republic e altre testate giornalistiche – ha ricevuto immagini di diverse discussioni recenti postate nel gruppo segreto degli agenti di frontiera ed è stato in grado di collegare i partecipanti a tali conversazioni online con i profili Facebook di appartenenti agli agenti di Border Patrol, incluso un supervisore con sede a El Paso, in Texas, e un agente di Eagle Pass, Texas.
Ovviamente, alle richieste di spiegazioni da parte di ProPubblica – così come da parte delle altre testate citate – si sono sottratti sia i membri del gruppo che hanno effettuato le pubblicazioni che i vertici della polizia di frontiera, compreso il presidente del sindacato di polizia London.
Chi semina vento raccoglie tempesta. Quando sotto i colpi di un folle suprematista o di uno squilibrato, carico di odio indotto, appartenente alle forze dell’ordine cadrà – anziché il nero, l’arabo, l’albanese il messicano o il rumeno – un figlio bianco del nostro sangue, daremo la colpa al folle o a chi l’odio lo ha alimentato e a noi stessi che lo abbiamo diffuso in maniera insensata senza renderci conto che neppure i nostri figli sono al riparo della follia umana?
Povere menti bacate, serve di chi sfruttando paure ancestrali ottiene consensi elettorali incurante delle mostruosità che crea…
Gian J. Morici