Roma-Palermo, 428 chilometri di distanza in via d’aria. Eppure, se si desse un’occhiata alle vicende che stanno turbando i sonni tranquilli di molti magistrati, la distanza sembrerebbe accorciarsi a tal punto da mostrare un luogo come fosse lo specchio dell’altro.
Incontri e cene – finite all’attenzione degli inquirenti o soltanto a quella degli organi stampa – sono alcuni dei retroscena del caso “Giustizia”, con le sue tante trame, più o meno complottistiche, che riguardano gli intrecci tra magistratura e politica.
Nulla di nuovo nel panorama italiano, se non fosse che questa volta lo scontro interno al sistema è talmente violento da aver occupato per diversi giorni le prime pagine dei maggiori quotidiani nazionali. A dare il via, l’inchiesta da parte della Procura di Perugia che ha portato all’iscrizione al registro degli indagati del sostituto procuratore Luca Palamara, già membro del Csm ed ex presidente dell’Anm, per corruzione in atti giudiziari.
Un’inchiesta che nel portare alla luce un presunto centro di potere in grado di condizionare e orientare la mappa giudiziaria del paese, offre anche altri spunti di valutazione in merito ad analogie – nonostante per vicende agli antipodi – su un sistema giudiziario che vede snodarsi tra le aule giudiziarie anche piccoli misteri sul come funzionano o non funzionano i nostri tribunali.
Nel corso della perquisizione dell’abitazione di Palamara, sono stati sequestrati fascicoli processuali dei quali il magistrato non era titolare. Perché si trovavano in casa dell’ex presidente dell’Anm? Una risposta sembra la si possa trovare negli appunti dello stesso Palamara che, in particolare su un fascicolo processuale, scrive: “udienza da non fissare”.
Di tenore diverso, e con diversa modalità, quanto accade a Palermo. Se Roma frena (su un processo) Palermo sembra accelerare a tavoletta su un’altra vicenda giudiziaria, o quantomeno nella conduzione delle indagini per la stessa.
Ma Palermo è Palermo, e qui si spiega ciò che altrove non ha spiegazione e non si spiega ciò che è chiaro in qualsiasi altra parte del mondo.
23 aprile 2018 – Tipica giornata siciliana, una di quelle durante le quali il detto “aprile dolce dormire” a questa latitudine, di solito, vede quintuplicata la voglia, anche a causa delle temperature che non sono proprio quelle di Bolzano. Eppure, una querela presentata quella mattina presso la cancelleria della Procura del Tribunale di Palermo, soltanto qualche ora dopo inizia il suo iter naturale. I siciliani, contrariamente a quanto affermato da tanti detrattori, non sono pigri. Non c’è caldo che tenga, né proverbio, infatti, è sempre il 23 aprile, quando la querela presentata qualche ora prima “approda” al tavolo del procuratore di Palermo, Francesco Lo Voi.
Non sappiamo che ore fossero né se la temperatura fosse già più mite rispetto il caldo tipico di una giornata primaverile siciliana, sta di fatto che lo stesso giorno viene assegnata al pubblico ministero affinché avvii le indagini. E non un pm qualsiasi, ma a un magistrato con deleghe “pesanti”. Non trascorrono ventiquattro ore. La notitia criminis è immediatamente iscritta nell’apposito registro a modello 21, ovvero a carico di persone note.
Altro che “giustizia lumaca” come, purtroppo, vengono definiti i tempi di solito necessari al nostro sistema giudiziario perché si attivi. In questo caso, Speedy Gonzales non sarebbe riuscito ad esser più veloce. Gravità del reato? Può darsi. Se ieri andava forte il marchio “mafioso” per accelerare i tempi della giustizia (ma non sempre, viste le prescrizioni e le scarcerazioni per scadenza dei termini) evidentemente oggi la pole position appartiene ai reati di diffamazione. Avete letto bene, diffamazione con l’aggravante del mezzo stampa, altro che le bazzecole con le quali quotidianamente si confrontano i cittadini. Particolare curioso
Sul frontespizio di assegnazione del fascicolo al pubblico ministero, non mancava una nota scritta. Era l’invito a voler tenere informato il procuratore…
Spaccio, rapine, casi di stalking conclusisi con l’omicidio della vittima (talvolta senza che un pm abbia trovato il tempo di ascoltarla) devono cedere il passo al reato per eccellenza: la diffamazione!
Da non fissate quell’udienza a con preghiera di volermi tenere informato…
Gian J. Morici