L’economia italiana tornerà ai livelli precrisi (2008) soltanto nel 2023: 15 anni per recuperare il terreno perduto. E’ la previsione di Prometeia all’appuntamento 2019 che Ubi Banca organizza da circa quarant’anni per riflettere sui messaggi lanciati dal Governatore della Banca d’Italia e dal presidente di Consob in occasione delle tradizionali relazioni annuali.
Di fronte a un selezionato parterre di imprenditori e di operatori finanziari – invitato il presidente di Assoedilizia e di Eurasia Achille Colombo Clerici – la presidente dell’istituto di credito Letizia Moratti ha sottolineato i temi chiave toccati negli interventi dei vertici delle due istituzioni finanziarie, il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco e il Presidente Consob Paolo Savona: crescita, invecchiamento della popolazione, ritardo tecnologico, banche e finanza, appartenenza alla UE.
“Condivido l’urgenza – ha detto – di sostenere la crescita e allentare le tensioni sui mercati finanziari. La crescita economica del nostro Paese va rimessa al centro dell’agenda politica italiana. E noi tutti dobbiamo contribuire a questo obiettivo primario. In tal senso, l’elevato rapporto tra debito pubblico e Pil rimane un vincolo e occorre una strategia rigorosa di riduzione nel medio termine. L’Italia paga anche un ritardo tecnologico. Il 5 per cento del totale del valore aggiunto è oggi riconducibile ai settori dell’economia digitale contro l’8 in Germania e una media del 6,6 nell’Unione Europea, mentre il mondo è cambiato e cambierà ancora. Nei servizi bancari si è certamente ridotto il numero degli sportelli tradizionali per far fronte alla politica di riduzione dei costi ma dall’altra parte si stanno sviluppando le Fintech, i Big data e l’uso delle tecniche di intelligenza artificiale”.
“Per quanto riguarda l’Europa” ha continuato Moratti “sono una convinta sostenitrice dell’Unione Europea perché non possiamo abbandonare la nostra volontà di sostenitori del progetto e dobbiamo continuare su un percorso di sviluppo e di stabilità. I mercati globali ci pongono delle sfide che da soli non potremmo sostenere. L’Europa ci consente di aprirci a mercati più ampi, di godere di sostegni maggiori e facilita la cooperazione in campi strategici. Vorrei ricordare che la crescita italiana non è stata debole a causa dell’Unione europea o dell’euro perché gran parte degli Stati membri hanno fatto meglio di noi. Il Paese ha reagito con ritardo al cambiamento tecnologico e all’apertura dei mercati a livello globale. Servono mercati integrati a livello finanziario, del lavoro, di beni e servizi con norme e istituti comuni e un autentico bilancio unico europeo”.
E’ toccato a Giuseppe Lusignani vice presidente di Prometeia e professore di Economia degli Intermediari Finanziari presso l’Università di Bologna (il direttore del Corriere della Sera, Luciano Fontana, ha concluso i lavori) analizzare la situazione. Tra le considerazioni più interessanti il fatto che il risparmio delle famiglie congelato nei conti correnti delle banche, è tra i più alti del mondo in quanto i risparmiatori non si fidano ad investirlo in Italia (anzi, spesso preferiscono finanziare attività all’estero): a differenza, per citare, di quanto succede in Giappone che ha un debito pubblico ben più alto del nostro ma che è detenuto per la quasi totalità dai risparmiatori nipponici.
Chi allora finanzia le imprese italiane? Prevalentemente le banche che hanno pagato, con la grande crisi, uno scotto enorme: circa 130 miliardi di euro. (Ma, per inciso e’ lecito chiedersi: chi si e’ arricchito? Il criterio del “cui prodest” mantiene ancora la sua validita’.)
Se non torna la fiducia nel ‘sistema Paese’, la ripresa sarà impresa ardua.