Se quanto sta accadendo in seno al Consiglio Superiore della Magistratura riguardasse soltanto vicende legate alla presunta corruzione di un magistrato, potremmo ritenerla una risposta adeguata e trasparente a qualsiasi danno sistemico. Nonostante infatti lo scandalo stia erodendo la credibilità del Csm – e non soltanto di questo – un’azione di “pulizia” tra le toghe e l’applicazione di ferree regole che tengano queste lontane dai giochi di potere della politica, aiuterebbero a regolare le interfacce di lavoro tra la magistratura e gli investigatori, impedendo certe intrusioni autoritarie e finendo con il ricostruire e rafforzare la fiducia dei cittadini nel sistema.
L’impressione che invece se ne ha, è quella di una lotta di potere tra magistrati che ha aperto una crisi istituzionale, che sta attraversando il ramo giudiziario, per la successione alla poltrona di procuratore della Repubblica di Roma, dopo il pensionamento di Giuseppe Pignatone. Una poltrona che vale ben più di un ministero.
È sufficiente infatti che ci sia il sospetto di incontri tra magistrati e imprenditori o politici, perché, anche in assenza dell’acquisto di sentenze o d’influenze giudiziarie e favoritismi, porti gli interessati ad autosospendersi prescindendo dal fatto di essere indagati o meno per aver commesso eventuali reati. Una questione morale? Se non vivessimo in Italia, con tutto quello che ne consegue, sarebbe un motivo più che valido per mettere in discussione la permanenza di alcuni magistrati in quello che dovrebbe essere un organo di governo autonomo della magistratura ordinaria. Ma siamo in Italia e lo “scandalo” sembra più la scoperta dell’uovo di colombo. Anzi, del mezzo uovo di colombo, visto che a salire alla ribalta delle cronache, c’è soltanto una parte della magistratura.
Mentre Magistratura Indipendente ha blindato i suoi tre consiglieri del Csm che si erano autosospesi da alcuni giorni perché erano finiti al centro delle polemiche a causa di un incontro al quale avevano partecipato due deputati del Pd e Luca Palamara, ex presidente dell’Anm, indagato a Perugia per una presunta tangente di 40mila euro, la stessa associazione di magistrati sottolinea come sia necessario l’impegno ad evitare in futuro ogni contatto con qualunque esponente politico estraneo al Csm, ancorché magistrato. Un monito che dovrebbe valere per tutti, non soltanto per il Csm, in particolare per chi concorre a una poltrona autorevole e potente qual è quella del procuratore di Roma.
Intanto, il pm Luca Palamara, indagato dalla Procura di Perugia per aver incassato 40mila euro per sostenere corruzione la nomina Giancarlo Longo a procuratore di Gela, produce il verbale del plenum relativo alla nomina del procuratore dal quale risulta che Longo non ha ricevuto nemmeno un voto.
Cartoni, uno dei tre consiglieri di Magistratura Indipendente autosospesosi, a “Il Fatto Quotidiano”, racconta dell’incontro con l’onorevole Lotti . “ L’incontro è stato del tutto casuale ed unico – afferma – dove non sapevamo assolutamente nulla che arrivasse l’onorevole Lotti“. In pratica un’imboscata?, gli chiedono i cronisti “Sostanzialmente sì” risponde per due volte il magistrato.
Incontri con politici, ingerenze sulle nomine dei procuratori, tangenti. Un mix esplosivo che fa il “botto” alla vigilia della nomina a procuratore di Roma.
Ma furono soltanto questi gli incontri tra politici e magistrati? Sembra di sentire Gino Paoli ripetere il titolo di una sua famosa canzone: “Eravamo quattro amici al bar”.
Questa volta non erano quattro amici al bar. Un ristorante, una cena, qualche ministro (c’era Matteo Salvini), qualche ex ministro, qualche magistrato. Tra questi, alla serata organizzata da Annalisa Chirico, amica di Salvini, il procuratore della Repubblica di Palermo, Francesco Lo Voi.
All’arrivo del ministro dell’Interno, – riporta “Il Fatto Quotidiano” – “il procuratore sorride, felice di stringere la mano al vicepremier della Lega Nord davanti alle telecamere. Allora un giornalista dice quello che a molti viene in mente: ‘Salvini, ma Lo Voi le aveva mandato un avviso di garanzia…’. Effettivamente il 7 settembre del 2018 il ministro aprì in diretta Facebook la busta gialla proveniente da Palermo.
Era il procuratore Lo Voi a informare il ministro che era indagato. Lo Voi in realtà aveva fatto poco più che girare le carte provenienti da Agrigento al Tribunale dei ministri. Poi martedì alla Lanterna, sempre sotto le telecamere, finalmente si è chiuso il ciclo. Salvini ha sorriso al giornalista impertinente: ‘Tutto bene quel che finisce bene’. L’inchiesta è stata infatti archiviata. Lo Voi è stato al gioco. Ha stretto la mano perché ‘è un ministro dell’Interno, ci mancherebbe altro’. Quanto all’avviso di garanzia ‘era per lettera… stasera ci siamo incontrati’, vuoi mettere…”
Vuoi mettere sì, visto che pare quella cena sia stata indigesta e – come anticipato dal quotidiano – non ha fatto bene all’immagine della magistratura e allo stesso Lo Voi, il quale, potendo contare teoricamente su cinque voti della sua corrente (Magistratura Indipendente) per la nomina del procuratore capo di Roma, alla quale era candidato, ne ha preso soltanto uno, mentre quattro sono andati a Marcello Viola, procuratore generale di Firenze.
Si riaprono i giochi, si danno nuovamente le carte. La poltrona di Roma è ancora vacante. Ma come si potranno conciliare le vicende dei singoli magistrati, i loro appuntamenti politici, le loro ambizioni, con un’idea di pulizia che non sia solo parziale o dettata da ben altri interessi?
Intanto, in un momento in cui tutti abbiamo bisogno di porre la nostra fiducia nella giustizia – una giustizia che sia super partes – ecco che il massimo organo di governo autonomo della magistratura finisce nel fango…
Gian J. Morici
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