In genere quando si legge la frase “l’omosessualità è una malattia e va curata”, come sta accadendo spesso in questi infausti giorni, le reazioni sono di due tipi e molto nette: quelli che dicono “è vero, è vero! curiamoli!” e quelli che invece “siete dei retrogradi! che cazzo state dicendo?”.
Io, che sarei per schierarmi con il secondo gruppo, quelli cioè che sono scesi dagli alberi un paio di milioni di anni fa, non posso limitarmi per cultura, attitudine, curiosità, a prendere una posizione apodittica. E quindi ho pensato di affrontare il punto in maniera scientifica. Supponiamo per un momento per assurdo che l’omosessualità sia una malattia, e che vada curata. La prima domanda da farsi, per poterla curare è: di che tipo di malattia si tratta? Direi non infettiva, altrimenti ce la saremmo presa più o meno tutti, a meno di non ipotizzare che esista un virus a cui alcuni sono immuni e altri no. E poi se esistesse, ormai sarebbe stato identificato, con tutti gli esperimenti che da Mengele in poi sono stati fatti sui “diversi”.
Penso neanche genetica, sia perché anche qui sarebbe ormai stato identificato il gene della pederastia, sia perché ci sarebbe una linea trasmissiva generazionale chiara, ma soprattutto perché la cura sarebbe probabilmente impossibile, come dimostra il frustrante tentativo di curare malattie genetiche importanti e rare. Mi prendo la responsabilità di stabilire quindi che l’omosessualità sia una malattia di tipo psicologico, o psichiatrico, insomma una malattia mentale, e quindi che abbia le simpatiche caratteristiche di essere specifica di alcune persone, non trasmissibile, e soprattutto curabile. Questo rasserena un po’ tutti no!? come dire: ahò, io nun so’ frocio ma nun rischio nemmeno.
Fantastico. Ora servirebbe un piano nazionale per la cura, e possibilmente la debellazione totale dell’omosessualità, come desiderano i nostri attuali governanti. Per fare questo è necessario un censimento. Quanti saranno gli omosessuali in Italia? Qui la situazione si fa complicata, perché mentre il 2.5% della popolazione italiana si dichiara apertamente omosessuale o bisessuale, in realtà circa il 7% degli italiani ha avuto esperienze omosessuali. E insomma, non possiamo certo lasciare che uno che sia stato tentato una volta, lo faccia ancora. Seguendo questa linea di ragionamento direi che uno che non è omosessuale dichiarato, ma che ha avuto un’esperienza omosessuale è a forte rischio e quindi va curato prima degli altri. Dobbiamo portare perciò sulla retta via circa 4 milioni e mezzo di italiani (che poi “retta via” potrebbe essere frainteso da qualche furbacchione ma noi che siamo per la famiglia tradizionale certe cose non le facciamo e neanche ci pensiamo, quindi è una frase che posso usare con disinvoltura).
Il problema successivo è: come identificarli? Vabbè, quel 1.625 milioni di omosessuali dichiarati è facile, sappiamo chi sono. Gli altri però sono infrattati da qualche parte (che poi, pure “infrattati” si presta a malintesi, ma non per noi affamiliagliatamente tradizionalisti), magari nascosti in qualche matrimonio, oppure tra le fila del clero, e addirittura qualcuno rischia di diventarmi Papa (e su un paio di Papi anche recenti i sospetti ci stanno, eh!?). Per scovarli bisognerebbe creare qualche esca pavloviana, facendo girare che so, la foto di Tom Cruise nudo, oppure facendo suonare “Yentl” di Barbra Streisand, e vedere chi saliva; ma tutto sommato riteniamo che la delazione sia sempre lo strumento migliore per costringere gli infrattati a venire allo scoperto. Una volta identificati e schedati, a questo punto può iniziare la cura. Ora, non sono un esperto psicologo, devo ammetterlo a malincuore, ma da quello che so una cura psicologica non si risolve con una sola seduta. Possono volerci anni, e farmaci appositi per aiutare i pazienti. Qui farò un’ipotesi media, ossia che per curare l’omosessualità sia necessario un percorso di almeno un anno, con un incontro a settimana di un’ora.
Dato che gli psicologi iscritti all’albo sono 104.000, se tutti da questo momento si dedicassero anima e core a risolvere il problema, ognuno dovrebbe farsi carico mediamente di 43 omosessuali da curare. Non penso che sia un peso sostenibile, anche per psicologi di grande esperienza. In più presumo che molti di questi psicologi non abbiano le competenze per affrontare un problema di siffatta portata epocale (evitare cioè che la gente vada a letto con chi gli pare), e molti saranno anche ormai presi da pazienti con altre gravi patologie (quali ad esempio l’ignoranza cronica) e non potranno certo lasciarli per strada per curare i gay. Stimo perciò che mediamente uno psicologo possa prendere in cura non più di 5 omosessuali, quindi uno al giorno, tranne sabato e domenica in cui si dedicheranno verosimilmente ad altre attività quali il pellegrinaggio a Medjugorie o lo sganassone alle donne riottose. Questo ci permette di affermare con una certa precisione che ogni anno siamo in grado di curare circa 500.000 omosessuali. Se tutto va bene, e se stiamo attenti che non ne escano altri, nell’arco di una decina di anni li abbiamo riaddrizzati tutti (sul verbo “riaddrizzare” glisso perché non mi suona bene in questo contesto neanche a me). Ora, la domanda finale: ma quanto ci costa tutto questo? Supponendo che i nostri amici psicologi prendano un onorario medio di 100 euro/ora, curare un omosessuale avrà un costo medio di 5.200 EURO. Neanche tanto, se ci pensate. Alla fine con di 23 miliardi di EURO, il costo di un caffè al giorno (per ognuno degli abitanti della terra, cioè), ci liberiamo del problema.
Certo, con 23 miliardi di EURO ci si fa una bella finanziaria…tirarli fuori per curare l’omosessualità non è facile, anche se dobbiamo ammetterlo, è una missione prioritaria: molto più del lavoro, delle pensioni, della sanità, del futuro dei giovani (tranne quelli omosessuali che già si sa cosa gli vogliamo fare). Però anche qui la soluzione, volendo affrontare il problema scientificamente, è facile trovarla. In fondo come è noto gli omosessuali sono una casta di ricconi (non c’è l’acca nella parola “ricconi” è inutile che la cerchiate), per lo più fanno mestieri tipo stilista, paroliere delle dive, direttore di giornali scandalistici, fontman di gruppo rock sinfonico, insomma, i soldi ce l’hanno: li cacciassero loro. Mo’ sta a vede’ che non solo li dovemo cura’, ma dovemo pure paga’ noi!?
Rodocarda