“L’Isis rinasce a Mosul” è il titolo dell’articolo a firma di Francesca Mannocchi, pubblicato da L’Espresso. Un’analisi attenta e corretta che prospetta scenari angoscianti per un futuro non così distante per come avremmo potuto credere soltanto pochi anni fa. Mosul è una città sventrata, martoriata, dove i figli delle vittime dell’Isis guardano con odio ai figli dei jihadisti e viceversa. Dove si fa presto a finire vittima di una delazione dettata da rancori o invidie che trasformano un poveraccio in un terrorista meritevole di morte.
Mosul è il caos. È un fiume di rabbia, sangue e rovine. Lo Stato Islamico, il famigerato Isis, ha perso? No! L’organizzazione terroristica ha perso il controllo dei territori ma non la sua carica ideologica. Non la volontà nel voler sottomettere o distruggere l’infedele. Un imperativo mai celato dai terroristi e che oggi ne esce rafforzato, potendo contare in un futuro imminente su folte schiere di nuovi mujaheddin. I bambini di oggi di Mosul, saranno i mujaheddin di domani.
Accadde con la guerra dei Balcani (1992/95), quando molti paesi islamici offrirono ai bosniaci assistenza finanziaria e militare, inviando migliaia di guerriglieri mujaheddin, i quali finita la guerra non lasciarono la Bosnia, dove grazie alla costruzione centri di educazione religiosa, promossero l’Islam, anche nelle sue forme più estreme ed intolleranti. Gornja Maoča, Novi Pazar, Sangiaccato, rappresentarono e rappresentano ancora il modello di mini Stati-Sharia sorti nel cuore dell’Europa, ai quali sono legati i più tristi nomi di terroristi e predicatori di odio che hanno gettato le basi che hanno portato alla nascita del Califfato di al-Baghdadi.
Khalid Sheikh Mohammed, Khalid al Mihdhar, Nawaf al Hazmi, Bin al Shibh, Mohamed Atta, Ismar Mesinovic, Arid Uka; i predicatori di odio come Nusret Imamovic, Mirsad Omerovic alias Ebu Telma, Enes Mujaković, Sabahudin Fiuljanin, Nevzudin Bajraktarevic e Sulejman Delic ai quali si deve la diffusione di un’ideologia fondata sulla violenza e sul terrore, sono soltanto alcuni dei nomi la cui storia in qualche modo è legata ai Balcani. Se una volta era la miseria la causa dell’abbandono di minori, che finivano nelle mani di Mallams africani (studiosi islamici) i quali ne facevano degli arrabbiati, trasformandoli in perfette macchine per seminare morte e terrore, i conflitti come quelli di ieri dei Balcani e oggi della Siria e dell’Iraq, hanno consegnato nelle mani di falsi imam intere generazioni di nuovi jihadisti.
Sono gli orfani di guerra, i vivai che l’inchiesta de L’Espresso porta sotto i riflettori nella speranza che un mondo distratto si accorga di come l’Isis rinascerà dalle sue ceneri, più virulento e letale di quanto non lo sia stato con il Califfato di al-Baghdadi.
Una vana speranza? Forse… Nel 2009, Antonio Evangelista, già dirigente della Digos della Questura di Asti, che sulla scorta della sua esperienza professionale, avendo in passato diretto le indagini sui crimini di guerra e guidato la polizia criminale nei Balcani – ex comandante del contingente italiano presso la missione ONU in Kosovo (UNMIK) – aveva scritto due libri, “La Torre dei crani” e “Madrasse. Piccoli martiri crescono tra Balcani ed Europa” che “L’Espresso” definì “profetici”, aveva anticipato come proprio dagli orfani di guerra sarebbero nati interi contingenti di guerriglieri mujaheddin e “lupi solitari” che avrebbero ferito l’Occidente. Una voce inascoltata dai soloni dell’antiterrorismo, come quel magistrato che poco prima della nascita dell’Isis sosteneva che al-Qaeda era sconfitta e che non poteva nascere un’altra organizzazione terroristica con quelle caratteristiche e quella pericolosità.
Se i più recenti eventi non fossero stati tanto drammatici, avremmo riso di così tanta ignoranza in materia. Purtroppo, i morti, non ci hanno fatto ridere e ci hanno insegnato a piangere per eventi luttuosi che stando a cotanto esperto non si sarebbero mai potuti verificare.
“Madrasse. Piccoli martiri crescono tra Balcani ed Europa” è il libro di Evangelista che quasi dieci anni addietro fotografava le rovine delle guerre balcaniche dalle quali nascevano i nuovi mujaheddin, quei bambini rimasti orfani a causa di quelle guerre, finiti nelle mani di personaggi privi di scrupoli che li avrebbero destinati a diventare attentatori suicidi.
Formati nelle Madrasse, da falsi imam che avrebbero incitato alla guerra santa. Plagiati da maestri di morte, predicatori di odio che sfruttano il loro inferno interiore per scaricarlo violentemente sull’Occidente, il Regno del Male. Una rabbia interiore pronta ad esplodere come le cinture esplosive che porteranno addosso. L’Isis è sconfitto? Se chiedessimo a quel tal magistrato, poi divenuto soggetto politico, come disse per al-Qaeda, è già stato seppellito e non potrà rinascere un’organizzazione terroristica con quelle caratteristiche. Ma l’esperienza ci insegna che così non è. Quel magistrato avremmo voluto seppellirlo sotto una valanga di risate ma lo abbiamo sepolto sotto il sangue e i corpi degli innocenti morti negli attentati, sotto quelli dei nostri soldati caduti nelle cosiddette “missioni di pace”. Se solo avesse letto i libri di Evangelista, compreso l’ultimo dal titolo “Califfato d’Europa”, si sarebbe fatto un’idea diversa.
Se ieri erano i Balcani la fucina di morte, oggi si sono aggiunti Siria, Iraq e le tante nazioni che hanno contribuito a ingrossare le fila dell’esercito di al-Baghdadi.
I falsi imam, per radicalizzare e reclutare novelli jihadisti pronti a combattere, continueranno a farlo a Mosul come ieri lo facevano nei Balcani. Ma non soltanto lì. Non dobbiamo infatti dimenticare che bambini e ragazzi che hanno visto gli orrori della guerra e che conoscono già l’odio e la violenza, vivono nei nostri paesi. Verranno direttamente dalla Siria, dall’Afghanistan o dall’Iraq i predicatori di odio? No! L’Europa ne è piena. Dall’Inghilterra al Belgio, dalla Germania alla Francia, dalla Bosnia alla Svezia, non mancano sicuramente predicatori e reclutatori, né nuovi martiri pronti a farsi esplodere.
Non era forse cittadino svedese Mirsad Bektašević (classe 1987), alias Maximus, che voleva morire da martire in Saraievo, ma fu arrestato, prima di farsi esplodere, con una cintura contenente 20 chili di esplosivo? Fu condannato a più di 18 anni di prigione, scontati in Svezia, frequentando la moschea Bellevue in Gothenburg. Anche lui orfano di padre, era emigrato in Svezia con la madre per evitare l’assedio di Sarajevo, ma vi tornò per morire da martire, senza riuscirci.
Stiamo sottovalutando le conseguenze della disfatta militare dell’Isis che, paradossalmente, porterà a far crescere il suo futuro esercito. Un esercito la cui formazione non richiederà i tempi che ci vollero per radicalizzare e addestrare i terroristi che negli scorsi anni hanno colpito il cuore dell’Europa. Se sottovaluteremo questi aspetti, avremo perso…
Intanto, piccoli martiri crescono…
Gian J. Morici