La procura dì Barcellona Pozzo di Gotto è in allarme per le emissioni di Gas, vapori e fumo che sconfinano i limiti di legge e parla pertanto di “un disastro da cui derivava un concreto ed effettivo pericoloso per l’incolumità pubblica” vale a dire: “un’eccezionale diffusione, nella popolazione dei Comuni limitrofi allo stabilimento, di patologie dell’apparato respiratorio e tumorali, anche mortali”.
A breve il processo
Per tali motivi è stato chiesto il processo, con l’accusa di “gettito pericoloso di cose e disastro colposo”, per tre ex direttori della raffineria di Milazzo, controllata da Eni e Q8, che hanno gestito lo stabilimento tra il 2009 e il 2014.
Il primo a comparire in udienza preliminare, (il prossimo 12 ottobre), sarà Marco Antonino Setti, direttore da dicembre 2009 a settembre 2012.
Dopo toccherà ai suoi successori Gaetano De Santis e Pietro Maugeri, ancora alla guida della raffineria.
Una storia recidiva
Qualche tempo fa, la procura di Barcellona Pozzo di Gotto aveva chiesto l’archiviazione del procedimento a carico di Saetti.
Il provvedimento ha tuttavia incontrato la ferma resistenza delle 27 persone offese, che si sono opposte.
Il Gi del Tribunale, respingendo la richiesta dei pm, ha pertanto ordinato agli stessi di formulare l’imputazione coatta che ha portato all’iscrizione anche di De Santis e Maugeri.
Cosa è successo?
La Pm Federica Paiola, sostiene che sono stati “violati” i valori limite delle emissioni. Inoltre, dal momento che non sono state impiegate le migliori tecnologie disponibili, per almeno 5 nelle zone circostanti si è verificato “un disastro, da cui derivava un concreto ed effettivo pericolo per la pubblica incolumità”.
Secondo la procura di Barcellona, gli operai lavoravano senza adeguate protezioni, quali ad esempio le basilari mascherine.
Non esistevano impianti di aspirazione ed i locali nei quali venivano lavorate sostanze nocive non erano separati dagli altri.
Assenti pure i sistemi di apertura dei serbatoi delle colonne e degli altri locali chiusi.
Oltretutto le polveri, incluse quelle di amianto, non sarebbero state smaltite.La polvere d’amianto si sgretolava dai tubo-alternatori, dalla stazione laminatrice, dalle linee di vapore soggette a vibrazioni durante i frequenti “colpi di ariete” dovuti agli sbalzi termici e durante le operazioni di saldatura e pulitura.
La pulizia poi, non era mai garantita: né alla fine dei turni di lavoro, né all’interno dei locali o quella delle tute da lavoro.
Anche il controllo sanitario periodico dei lavoratori, adeguato al rischio della lavorazione d’amianto, veniva ampiamente bypassato. E, infine, gli operai nom venivano informati dei gravi rischi ai quali erano sottoposti.
Il rischio oggi
Oggi, il rischio più concreto, secondo i magistrati, consiste in “un’eccezionale diffusione, nella popolazione dimorante nelle località e nei Comuni limitrofi allo stabilimento, di patologie” come l’asma e “tumori” all’ipofisi, alla laringe e all’apparato respiratorio, “anche mortali”.
E di amianto e gas killer sono già morte diverse persone.
Tra il 2006 e il 2013 sono deceduti sette operai (uno ha subito gravi lesioni) che hanno lavorato alla Raffineria mediterranea di Milazzo: Salvatore Currò, Francesco Di Maio, Giuseppe Pollicino, Salvatore Saporita, Salvatore Scolaro, Nunziato Sottile e Aldo Colosi, tra il 2006 e il 2013, per patologie oncologiche o legate a problemi polmonari, come broncopatie, fibrotorace.
Cosa c’è dietro queste morti?
È quello che vogliono scoprire adesso la Pm Paiola, assieme alla collega Emanuela Crescenti.
Potevano essere evitate attraverso una campagna di prevenzione?
Cosa hanno inalato gli operai che lavoravano ai tubo-alternatori, alle linee di vapore, alla saldatura e pulitura, anche in periodi che risalgono agli anni ’80?
Adesso alcuni degli imputati dovranno rispondere di omicidio colposo e di omissione colposa di cautele, per aver violato le norme per la prevenzioni degli infortuni sul lavoro, reato che prevede la pena da due a sette anni, per non avere evitato il contatto con l’asbesto fino all’autunno del 2012.
Ona interviene
L’avvocato Ezio Bonanni, presidente Ona dichiara “Osservatorio Nazionale Amianto si costituirà parte civile in questo procedimento penale , poiche è impegnato in prima linea fin dal 2008 nella difesa della Salute nei luoghi di lavoro e nei luoghi di vita. A più riprese abbiamo segnalato la pericolosità degli impianti per presenza di Amianto. Tuttavia c’è stata una scarsa collaborazione, il risultato era sfociato, proprio per la presenza di materiali di amianto, nell’iniziativa della procura della Repubblica di Milano. Per tale motivo l’Ona si schiera a fianco della procura di Milano nell’azione penale, per rendere giustizia alle vittime di amianto tra i dipendenti dei petrolchimici deceduti per mesotelioma, tumore polmonare ed altre patologie asbesto correlate”.
Simona Mazza
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