Durante tutta l’interminabile crisi di governo dopo le elezioni del 4 marzo, il Partito dei Magistrati sembra abbia voluto far dimenticare la sua presenza. Almeno a paragone di altri momenti meno densi di avvenimenti politici, i suoi interventi, le dichiarazioni anche dei più scalpitanti dei suoi esponenti, sono stati meno aggressive e clamorose. Si direbbe che non abbiano voluto creare ulteriori imbarazzi ai loro soci e “debitori” per non rendere più problematica la riscossione del loro “credito”.
Quale credito? Certo c’è modo e modo di concepire la contabilità tra classe politica e magistratura (e quelli che come tali sono presenti nel Paese).
Ma non vi è dubbio che proprio le forze di quella sorta di antipolitica forcaiola, reazionaria, la “democrazia dei malumori” che alla fine è riuscita a formare il governo ha avuto proprio dalle esorbitanze e dal vero e proprio golpe giudiziario, con il quale è stato eliminata la Prima Repubblica e poi strangolato Berlusconi ed il suo tentativo di farne la Seconda, quasi tutto quanto ad esse potesse occorrere per emergere ed imporsi in Italia.
Con i Cinque Stelle, poi, a questo rapporto di credito si aggiungerà e si aggiunge un patto di reciproco appoggio reso evidente nelle operazioni (una fra tutte le più imbecilli e spudorate: la creazione truffaldina dell’Eroe delle Cento cittadinanze nella persona dell’altrimenti più che mediocre magistrato Di Matteo).
Come se ciò non bastasse nel famigerato “contratto” tra la Casaleggio-Grillo-Cinque Stelle e la Lega sono stati ribaditi i programmi di una lotta alla corruzione, che è poi anche in certe elaborazioni pseudogiuridiche, strumento di un pesante vincolo di sudditanza alla giurisdizione penale ed ai relativi abusi di tutto l’apparato amministrativo pubblico con norme di tipo “antimafia” che sono l’antitesi di ogni concezione liberale.
Il Ministro della Giustizia del Governo Legagrillino, Alfonso Bonafede (ma avete visto la sua fotografia?) è un’autentica nullità, malgrado l’esperienza parlamentare nella passata legislatura, è in sé espressione manifesta della passività con la quale questo sciagurato governo si appresta a subire le imposizioni dei magistrati politicanti.
Ed allora è chiaro: se una resistenza deve essere opposta ai “Barbari a Roma”, a questo potere sciagurato dell’anticultura, essa deve partire dalla resistenza alla giustizia ingiusta, alla violenza della “giustizia di lotta” che già ha devastato il tessuto sociale ed economico del Sud.
E’ dal confronto sulla Giustizia che potrà nascere la spinta ad un nuovo illuminismo che ridia dignità alla politica e vigore alle libere istituzioni.
Cominciare dalla Giustizia, dalla sua difesa per ritrovare una piattaforma comune alle forze liberali e democratiche.
E cominciare dall’opposizione, fatta di ideali e con obiettivi di alto profilo per ridare al Paese una politica degna di queste norme ed una classe politica che aspiri a farci dimenticare i Salvini, i Grillo, i Di Maio e tanta altra gente del genere.
Questo auguro ai miei amici, a tutti i miei concittadini, di poter vedere realizzato.
Mauro Mellini