Dando la solita scorsa alle reazioni ed ai commenti degli amici (e di quelli, non meno utili, ma molto rari, di qualche “nemico”) alle mie fatiche della senile grafomania, ho, visto venerdì scorso, una parola che lì per lì mi era apparsa una delle frequenti deformazioni della grafia o non so cos’altro del diabolico (e per me misterioso) sistema internet.
Con riferimento a Di Maio ed alla sua teoria, di un “conflitto di interessi” tra le attività imprenditoriali di Berlusconi e non so quale carica pubblica che non ha, Di Maio veniva definito un “giurinconsulto” davvero grande.
Altro che errore di grafia!
Ho subito ritenuto di dovermi congratulare con l’autrice di quel commento, una “aficionada” del nostro sito internet, la Signora Vittoria Gobbi.
Credo che dopo anni ed anni in cui il diritto è stato bistrattato, utilizzato come arma dei peggiori delitti, rappezzato e, magari, “integrato” dai più recalcitranti e raglianti somari, invocato a vanvera e ignorato disinvoltamente là dove esso avrebbe dovuto essere di guida e di sentinella a garanzia delle nostre vite, dopo che le cattedre gloriose del suo insegnamento sono state occupate (altro che “vitalizio”!!) da qualche rivoluzionario da operetta, dopo che se ne è teorizzato e, purtroppo, praticato l’”uso alternativo” e dopo che esso, che aveva gloriosamente qualificato lo “Stato ideale”, era stato sostituito da una bolsa, arrogante, assurda concezione della pangiurisdizione, occorreva, occorre, per intenderci e ragionare, una parola nuova che compiutamente indichi i soggetti, gli autori, i colpevoli di tutto ciò.
Ed ecco che mi capita come per caso la più sintetica, tagliente, acuta, apparentemente “involontaria” definizione: giurinconsulto.
Credo che al tramonto, al disuso del termine “originario” “giureconsulto”, apparentemente “deformato” (vi sono, ad esempio nel dialetto romanesco parole derivanti da deformazioni, difficoltà di pronunzia di altre, magari latine, rituali, “colte” che valgono tutta la nostra ammirazione), debba corrispondere una grande diffusione della “deformazione”.
Io non sono un filosofo. Ma quel che diceva Benedetto Croce: “la filosofia è filosofia” è proposizione che mi è rimasta bene impressa.
La grande stima che ho di Guido Vitiello si fonda anche sul fatto che egli ha una grande sensibilità e fantasia nell’uso e nella creazione del lessico. Insuperabile il suo termine: “antimafia devozionale” che chiude, tagliando corto, questioni fatte oggetto di infinite ed inconcludenti discussioni ed ancor più inconcludenti ed assurdi processi.
Ho pensato subito a Vitiello quando mi sono reso conto di trovarmi di fronte al quel capolavoro di “definizione”. Spero che essa gli capiti sott’occhio.
“Giurinconsulto”. Bisogna levare un grido, un segnale di allarme, che ci dia la sveglia ogni volta (cioè assai spesso) in cui ci accadrà di trovarci di fronte a questa realtà biologica. Perché la novità lessicale risponde perfettamente ad una novità (che in verità tanto nuova non è) biologica: il “giurinconsulto”: fuori di testa.
Essere pericolosissimo, patogeno, crudele, astruso etc. etc.
E i giurinconsulti sono una parte notevole di quei cretini, di cui scriveva, quasi per un bisogno liberatorio di verità, Leonardo Sciascia. Ma ce ne sono alcuni che proprio tanto cretini è difficile classificarli.
Se ne trovano ovunque. Nei Tribunali, nelle Procure, nelle Università, tra i giornalisti, tra gli avvocati, nei bar di periferia. Non ne esiste un Albo, un numero chiuso. Però sarebbe bene che si cominciasse a farne degli elenchi, senza alcune velleità di usarli come “liste di prescrizione”. Così, tanto per evitare equivoci e, magari, sorprese.
Giorni fa leggevo che dall’Accademia della Crusca si è levato l’allarme ed è venuta una censura al dileggio della lingua italiana fatto anche nelle pubbliche attività.
Con altrettanta schiettezza quella benemerita e gloriosa istituzione potrebbe “licenziare” la parola “giurinconsulto” ed includerla nel suo vocabolario.
Da parte nostra un grazie alla Signora Gobbi, che speriamo non ci chieda i “diritti d’autore” per l’uso che di tale parola faremo e per l’invito che facciamo agli altri di usarla.
Mauro Mellini