Sopravvivere all’Olocausto per poi morire ad 85 anni a Parigi in quello che non può non essere definito un crimine antisemita non ha senso. E’ una persecuzione del destino.
Si chiamava Mireille Knoll, era ebrea. Si salvò dalla tristemente nota retata del Vel’d’HIV, tra il 16 ed il 17 luglio 1942, grazie al passaporto brasiliano di sua mamma. Fu la più grande retata in Francia durante la guerra. 13.000 persone, tantissimi bambini.
L’ha uccisa il suo vicino di 22 anni. Un ragazzo musulmano che conosceva da tempo. La signora aveva segnalato alle polizie le minacce ricevute di bruciarla. Così ha fatto. L’ha pugnalata 11 volte e poi ha dato fuoco all’appartamento. E’ morta assassinata in un quartiere di Parigi, nell’11° arrondissement.
Questo omicidio ricorda tristemente quello di Sarah Halimi, uccisa nell’aprile 2017, sempre a Parigi in condizioni simili, ossia da un vicino. Sarah Halimi non fu bruciata ma defenestrata e il giudice d’istruzione ha aggiunto l’aggravante del carattere antisemita del crimine. Il 27enne Kobili Traoré la picchiò prima di buttarla dalla finestra, al grido di Allah Akbar.
Ora la comunità ebraica segue con commozione questo secondo omicidio di una donna sola, e soprattutto ebrea. No! Non si può morire per questo, non si può sopravvivere all’Olocausto e morire per la stessa ragione, l’antisemitismo.
Ci sarà mai una parola fine a tanta barbarie?
Luisa Pace