Si è tenuto oggi, presso l’Istituto E. Fermi di Aragona (AG), l’incontro-dibattito “In ricordo delle vittime innocenti di mafia”.
Un incontro voluto e promosso dalla Dirigente Scolastica, Dott.ssa Elisa Casalicchio, e dall’ “Associazione Culturale Emanuela Loi” che ha prediletto la scuola come luogo di cultura per un punto di incontro- dialogo tra le nuove generazioni, familiari di vittime di mafia, appartenenti alle Forze dell’Ordine e operatori del mondo dell’informazione.
La Dirigente Scolastica, Dott.ssa Elisa Casalicchio, ha salutato e ringraziato i relatori intervenuti, dando la parola al Prof. Enzo Alessi chiamato a moderare il dibattito. Alessi, dopo una breve premessa sul fenomeno mafioso e sulle conseguenze nefaste che la criminalità ha sulla nostra società, è intervenuto in merito all’uso delle nuove tecnologie. In particolare facendo riferimento ai social network, che da utili strumenti d’informazione rischiano di trasformarsi in strumento di distrazione per quanti non ne facciano un corretto uso, passando poi la parola a Giuseppe Ciminnisi, figlio di Michele – vittima innocente di mafia – ucciso nel corso di una strage che aveva come obiettivo l’eliminazione di un boss mafioso. Una strage che vide cadere sotto il piombo assassino sia la vittima predestinata, che due innocenti, Michele Ciminnisi e Vincenzo Romano, che si trovavano casualmente nel bar dove avvenne l’agguato.
Ciminnisi ha ricordato la figura paterna, venutagli a mancare quando aveva appena quattordici anni, e l’incontro con il Giudice Giovanni Falcone che gli promise che avrebbe avuto fatta Giustizia. Una Giustizia arrivata dopo trent’anni – e dopo la morte dello stesso Falcone e degli uomini della sua scorta – ma che oggi permette a Ciminnisi di poter dire che l’unica risposta possibile all’efferatezza di criminali che non hanno alcuna considerazione della vita degli altri è quella che solo lo Stato con le sue leggi può dare. Una testimonianza che ha toccato molto i tanti ragazzi presenti, coinvolgendoli con la sua carica emotiva lontana dalla retorica alla quale troppo spesso si è abituati.
Al termine dell’intervento, un lungo applauso ha evidenziato il livello di empatia che il messaggio diretto di chi ha subito il dolore della perdita di un proprio caro è in grado di suscitare.
È stata poi la volta del Dott. Fabio Fabiano, Presidente dell’Associazione Emanuela Loi, il quale ha ricordato ai presenti la figura di Emanuela, la donna poliziotto che faceva parte della scorta del Giudice Paolo Borsellino e che rimase uccisa con lui e con altri colleghi della scorta nel corso dell’attentato di via D’Amelio.
Fabiano ha raccontato la sua esperienza di poliziotto e di come le carriere criminali finiscano – dopo una vita spesso condotta in latitanza e in maniera miserabile – con l’uccisione del protagonista o con la sua condanna, a volte a vita. Un “fine pena mai”, al quale solo la morte in carcere, anche per i boss, mette la parola fine. Vale la pena di condurre una vita improntata sulla violenza, con la paura di essere uccisi o catturati, quando poi il più delle volte una vita miserabile si conclude in maniera ancor più misera?
A Fabiano ha fatto seguito Gian Joseph Morici, coautore con lui del libro dal titolo “Vittime di mafia”, nel quale vengono narrate le storie di dieci vittime innocenti. Morici è intervenuto sui doveri dei giornalisti di sottrarsi ai condizionamenti ai quali, purtroppo, spesso, sono costretti dagli interessi di editori o da scelte redazionali che finiscono con l’impedire una corretta informazione, favorendo così interessi illegali e l’esistenza stessa della criminalità organizzata che rappresenta una delle piaghe più dolorose della nostra regione.
A concludere i lavori, la Dott.ssa Angela Spatola, Dirigente della Divisione Anticrimine della Questura di Agrigento, la quale ha esposto le diverse tipologie di vittime innocenti di mafia, citando tra queste coloro che hanno avuto la sfortuna di nascere in una famiglia sbagliata, pagando con la propria vita gli errori dei propri familiari; quanti si sono trovati casualmente nel luogo di un attentato e quanti hanno consapevolmente deciso di non piegarsi dinanzi la barbarie e l’arroganza di chi vorrebbe dettar legge ricorrendo alla violenza.
Tra i casi citati dalla Dott.ssa Spatola, la fine orrenda del figlio di un collaboratore di giustizia, sequestrato, strangolato e sciolto nell’acido, per vendetta contro il padre, e la morte di due bambine, una di nove anni e una di appena cinquanta giorni di vita, nel corso dell’attentato terroristico compiuto da “cosa nostra” in via dei Georgofili a Firenze, nel 1993.
Il racconto della Dirigente dell’Anticrimine – così come quello del familiare di vittima innocente di mafia – ha suscitato non poco sconcerto negli studenti che attentamente hanno seguito gli interventi che si sono succeduti e nei quali certamente ha lasciato il segno.
Il segno di una speranza che possa crescere fino a creare anticorpi nella società civile che pongano fine al dilagare di quel cancro che si chiama “mafia”.
Un incontro-dibattito nel corso del quale la narrazione da parte dei relatori ha finito con il toccare le corde più sensibili dei ragazzi facendo emergere, con l’uso intelligente delle emozioni, la loro volontà a sottrarsi al terribile giogo dell’arroganza di piccoli e meschini uomini la cui codardia li porta a nascondersi dietro l’uso della violenza e delle armi.
I relatori hanno poi ringraziato la Dirigente Scolastica, gli insegnanti presenti e il moderatore, Prof. Alessi, che hanno permesso loro di rivolgersi agli studenti affinchè possano riflettere facendo tesoro di ciò che hanno ascoltato, con l’augurio di divenire in futuro responsabili cittadini capaci di sottrarsi e contrastare le associazioni mafiose.
All’incontro, purtroppo, per ragioni personali non ha potuto partecipare un’altra familiare di vittima di mafia. L’agente di Polizia Angela Ogliastro, il cui fratello Serafino, anch’egli ex poliziotto, rimase vittima di un caso di lupara bianca. Angela, così come Giuseppe, è un’altro di quei testimoni che solitamente porta la sua esperienza diretta affinché sia da insegnamento alle giovani generazioni, trasformando il naturale sentimento di vendetta nel più profondo senso di Giustizia.