Era l’ottobre del 2014 quando a Bruxelles, all’incontro tra gli industriali dell’Unione Europea che hanno vita alla terza edizione del Parlamento Europeo delle Imprese, organizzato su iniziativa di EuroChambres tra i 750 imprenditori presenti, Domenico Arena, presidente di Sisifo, si trovò tra gli imprenditori italiani che rappresentarono il nostro paese per discutere sul futuro sviluppo dell’Europa.
Pochi giorni ancora e a seguito all’operazione Mondo di Mezzo si aprivano inquietanti scenari che portavano all’arresto di ex manager delle Coop, politici e presunti mafiosi ai quali – nonostante le condanne – la sentenza di primo grado del luglio 2017 fece decadere per tutti l’associazione mafiosa.
“Mafia capitale”, come fu denominata l’inchiesta sull’associazione di tipo mafioso dedita all’estorsione, turbativa d’asta, corruzione, riciclaggio e un’innumerevole serie di altri reati, da lì a pochi mesi avrebbe finito con l’interessarsi anche della gestione del Centro di Accoglienza migranti irregolari e Richiedenti Asilo di Mineo, avvalendosi poi della collaborazione di Luca Odevaine, uno dei principali indagati ed ex braccio destro di Veltroni, che raccontò agli inquirenti come fossero gestiti gli appalti del Centro di accoglienza.
Un giro di malaffare, secondo la procura, che vedeva nel Cara di Mineo il coinvolgimento di nomi eccellenti – alcuni dei quali riconducibili al partito del ministro agrigentino Angelino Alfano – prendere parte a un sistema clientelare basato sull’enorme flusso di denaro, turbativa d’asta e voto di scambio.
Un terremoto giudiziario che portò anche l’ex presidente della cooperativa Sisifo, Salvo Calì, ad essere indagato.
Un business che ancora prima che si arrivasse a scoprire il sistema “Mafia Capitale”, aveva visto il consorzio Sisifo protagonista nella gestione di centri di accoglienza, come il Cara di Borgo Mezzanone a Foggia, finiti al centro di polemiche che hanno avuto anche ribalta internazionale. Come nel caso del centro di accoglienza di Lampedusa, quando le immagini – assai poco edificanti – di migranti costretti a sottoporsi a lavaggi anti scabbia, finirono sulle prime pagine e sulle reti televisive di tutto il mondo.
Il consorzio Sisifo, una perla tutta siciliana, considerato uno dei fiori all’occhiello di Legacoop, occupa oltre mille dipendenti e ha un fatturato che nel solo 2015 ammontava a 89 milioni di euro.
Ma non solo di migranti si occupa il consorzio. Infatti, Sisifo è anche leader nella gestione dell’assistenza domiciliare integrata nelle Asp di diverse provincie siciliane. Una gestione che – secondo il presidente dell’Autorità Anticorruzione Raffaele Cantone – sarebbe avvenuta in “regime di monopolio”.
Secondo un documento pubblicato già nel 2013, Salvo Calì, allora presidente Sisifo, sarebbe stato il Deus ex machina che avrebbe garantito al consorzio la gestione di case protette per anziani, le assistenze domiciliari, le residenze sanitarie assistite, i centri di soccorso di prima accoglienza. Il tutto grazie ai ruoli rivestiti in seno all’Asp e al sindacato dei medici italiani, che ne facevano un uomo estremamente potente e in grado di influenzare i colleghi delle Asp siciliane.
Tra queste, la Asp di Agrigento che nell’aprile 2012, per tramite dei Competenti Distretti Sanitari, contrattualizzava i Centri Fisioterapici affinchè venisse loro affidato lo svolgimento di Assistenza Domiciliare Integrata, mediante l’impiego di personale specializzato e in regola con i contributi.
Un’esperienza che nonostante fosse stata egregiamente svolta con personale specializzato, in particolare nel settore del trattamento di pazienti affetti da gravi patologie, fu di breve durata. Infatti, otto mesi dopo, allo scadere del contratto, i Centri si sarebbero visti costretti a cessare il servizio di Assistenza Domiciliare Integrata in quanto a vincere la gara d’appalto per l’espletamento del servizio era l’onnipresente e onnipotente Consorzio Sisifo.
Fin qui nulla di strano, se non fosse che anziché insediarsi regolarmente il 1° gennaio del 2013, il Consorzio non ottenesse dall’Asp di Agrigento una lunga serie di rinvii che ne avrebbero permesso l’insediamento alla metà del mese di aprile.
Ma nella terra di Pirandello, ciò che altrove può apparir strano, qui diventa normalità, tant’è che anche l’utilizzo di massoterapisti – e non di fisioterapisti, unici soggetti riconosciuti dalla Regione Sicilia come figure professionali abilitate a trattamenti fisioterapici di pazienti affetti da qualsiasi patologia e in particolare quelli affetti da patologie neurologiche – dall’Asp di Agrigento veniva “tollerato” permettendo a Sisifo di organizzarsi per mettere in campo alcuni fisioterapisti che potessero operare a livello provinciale.
Mentre altrove scattavano le denunce penali a carico del legale rappresentante del Consorzio e dei massoterapisti stessi per esercizio abusivo della professione, ad Agrigento c’era chi si prodigava nel sostenere l’operato di Sisifo asserendo che i massoterapisti potevano operare, incurante persino del fatto che gli operatori del Consorzio sarebbero assunti in regime libero-professionale i cui requisiti cozzerebbero con quanto previsto nel Capitolato Speciale di Appalto.
Un appalto non di poco conto, visto che l’importo economico triennale ammontava a 8.350.000 euro + iva. E mentre l’escalation Sisifo in Sicilia proseguiva permettendo al Consorzio di vincere gare d’appalto simili in otto delle nove provincie siciliane, altrove gli inquirenti lavoravano sugli inquietanti scenari avrebbero portato l’allora legale rappresentante del Consorzio ad essere indagato per la connessione a una costola dell’inchiesta denominata “Mafia Capitale”.
Nonostante il C.G.A. di Palermo abbia sancito che il Consorzio Sisifo non ha l’esclusiva nell’espletamento del servizio di Assistenza Domiciliare Integrata, l’Asp locale continua a non concedere ai Centri Fisioterapici neppure una parte del servizio.
Qui si scrive Sisifo e si continua a leggere Miracolo…
Gian J. Morici