I partiti politici o quelli che si fanno passare per tali, i “padroni delle liste”, come meglio sarebbe chiamarli, si danno un gran da fare, oramai arrivati a conclusione per la nomina dei loro rappresentanti in Parlamento, dove dovranno spacciarsi come rappresentanti del popolo.
In realtà il sistema elettorale è stato concepito e funziona come una elezione “di secondo grado”.
Il corpo elettorale, frastornato e distratto in mille modi con la girandola di denominazioni, simboli, nomi di sconosciuti nei simboli e nelle liste dei candidati, dovrà votare per i partiti (si fa per dire) cioè per i signori delle liste. I quali sono loro a nominare i “rappresentanti del Popolo”.
Il voto “diretto e segreto” fu una conquista ottocentesca contro antichi sistemi di “elezione di elettori”. Ma il ritorno al voto indiretto è reso oltre che di “antiquariato”, manifestamente grottesco e truffaldino dal fatto che i primi elettori, il “corpo elettorale” nominati più o meno coscientemente dai Cittadini, i Deputati ed Senatori non li nominerà se e quando ne riceverà mandato dei Cittadini elettori. Li ha già nominati, sia pure condizionatamente “nella misura in cui”, come dicevano una volta quelli di Sinistra, riceveranno mandato di effettuare le nomine già fatte.
Se si considera che da varie parti di questo avanspettacolo politico si sostiene, poi, la necessità del “vincolo di mandato”, cioè la decadenza dal mandato parlamentare per Deputati e Senatori che lascino il loro gruppo di appartenenza all’atto del loro ingresso in Parlamento (vincolo vietato espressamente, finora, da una norma Costituzionale) allora sarà chiaro che si sta andando verso una sostituzione del Parlamento e dei Parlamentari con una “democrazia azionaria” (eufemismo bugiardo) in cui alle abituali istituzioni elettive subentrerebbe un Consiglio di Amministrazione di “azionisti” dello Stato, possessori di “azioni” loro attribuite con le elezioni. Come nelle Società Anonime.
C’è poco da scherzare. Perché poi anche l’acquisto “democratico” delle azioni verrebbe superato.
Ma vediamo quel che è successo o che pare sia successo.
Stando le cose come sono (ancora) si può dire che Renzi ha vinto. Ha vinto contro il P.D. giuocando a perdere in Parlamento.
Si era fatto fare una legge elettorale su misura, ma la misura è cambiata, si può dire, in corso d’opera. Ed allora, resosi conto che non ci sarebbe stata legge che gli consentisse di tornare ad essere il capo del “Partito della Nazione”, meglio giuocare a perdere per portarsi a Montecitorio ed a Palazzo Madama solo i fedelissimi, per evitare che gli succeda quel che capitò a Berlusconi quando il Partito dei Magistrati lo “depose”. La preoccupazione non è di vincere, ma di non perdere elettori dopo aver perso i voti. Che possa dire di aver vinto tale funerea battaglia è però difficile. Quando la nave affonda i topi saltano dalle stive e non ve ne sono di “fedeli fino in fondo”.
Malgrado abbia a che fare con un Salvini sembra che le cose non siano andate male per Berlusconi. Ma, poi, la vittoria sui 5 Stelle è tutt’altro che tranquilla. Grande travaglio per il nome del Leader (che si è dato ad intendere alla gente che deve essere fatto ora). Berlusconi ha, di questa scelta, la concezione del giuoco di una carta segreta, di un jolly folgorante. Ma lo abbiamo inteso fare il nome di un personaggio semplicemente deprimente.
I Cinque Stelle sembra siano destinati a rimangiarsi, prima del 4 marzo e della scadenza del termine per il deposito delle candidature, una buona parte dei loro dogmi. Buon per loro, si dirà. Tanto erano cazzate. Ma non è detto che i loro elettori fossero, invece, più affezionati a quelle cazzate che a qualcosa di meno grottesco che non avranno cambiato.
Vedremo. E’ inutile aggiungere che non c’è proprio da stare allegri.
Mauro Mellini