«Questa storia inizia quando finisce la guerra. Nella primavera del 1945 non tutti poterono gioire: alcuni bambini, che a stento erano sopravvissuti ai campi di concentramento, si trovavano dispersi per l’Europa, ammalati, fragili e soli».
«This story begins when the war ends. In Spring 1945 not everybody could enjoy happiness: the children, who hardly survived the detention in the concentration camps, were all sick, fragile, lonely and they were wandering all over Europe».
(Anna Scandella, “Aliyah Bet – Sciesopoli: il ritorno alla vita di 800 bambini sopravvissuti alla Shoah”, presentazione di Bruno Maida, introduzione e cura di Marco Cavallarin, Edizioni Unicopli 2016)
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Nelle trentacinque strofe che Bertold Brecht scrisse nel 1942 e che intitolò Children’s Crusade lo scrittore tedesco, emigrato negli Stati Uniti nel 1941 dopo un lungo esilio iniziato quando Hitler era andato al potere, raccontava la storia di 55 bambini che nella Polonia del 1939 fuggivano tra le macerie della guerra:
“In Polonia, nel Trentanove, / una battaglia grande ci fu / che fece rovina e deserto/ di tanti paesi e città. / La sorella ci perse il fratello, / la moglie il marito soldato, / tra fuoco e macerie i figliuoli / i genitori non trovano più.”
Orfani delle guerra, e più in generale dell’umanità, quei bambini erano la rappresentazione più efficace quanto drammatica di un mondo alla ricerca della pace: “Dalle battaglie volevano / fuggire, da tutti quegli incubi / e finalmente un giorno, / venire a una terra di pace”.
Nel dipanarsi del testo, i versi brechtiani evocavano un’infanzia come vittima principale delle guerre, l’indifferenza dell’Europa (degli adulti europei) di fronte all’accumularsi della violenza e delle distruzioni, la ricerca appunto di pace e di una terra promessa.
Quei bambini vagavano in uno spazio senza riferimenti, senza luoghi dove fermarsi, senza strade da percorrere. Eppure l’infanzia che il poeta tedesco metteva in scena era protagonista – oggi si direbbe resiliente- in quanto non subiva solo la sofferenza della guerra ma provava a rielabolarla, ad adattarvisi con tutti i mezzi che aveva a disposizione: le naturali pulsioni verso gli altri, i legami forti, il gioco e il divertimento, gli affetti e la solidarietà.
Tuttavia, l’infanzia della Children’s Crusade rimaneva orfana e indicava con chiarezza che vi era una colpa indiscutibile di chi la guerra l’aveva voluta e aveva sottoposto i bambini di tutta Europa e di grandi parti del mondo a una tale prova. La guerra non poteva che finire, nello stesso tempo lasciava macerie fisiche e interiori, abbandonava sul terreno morti da seppellire, trascinava con sé ferite da curare, ma anche speranze da coltivare.
Di una parte di quelle ferite, le donne e gli uomini di Selvino e Sciesopoli si fecero carico. Gli ottocento bambini che vi trovarono affetto, cura, speranza, furono la risposta migliore e più diretta all’appello di Brecht, che proveniva dal cuore di una guerra che non aveva ancora fatto emergere e raccontato al mondo la Shoah.
Bruno Maida
(a cura di Paola Ciccioli)
da Donne della realtà
La fotografia riporta la colonia estiva durante il fascismo, Sciesopoli (da Amatore Sciesa, eroe del Risorgimento) è un tipico edificio del razionalismo costruttivista costruito nel 1933 a Selvino, in provincia di Bergamo. Per una “nemesi storica”, accolse alla fine della seconda guerra mondiale 800 bambini ebrei scampati allo sterminio, 533 dei quali hanno ritrovato la dignità del nome, della data di nascita e del Paese di origine nel ibro “Aliyah Bet” di Anna Scandella. L’autrice, giovane illustratrice e graphic designer bergamasca che ora lavora a Manchester, in Gran Bretagna, ha svolto questo suo prezioso studio come tesi di laurea all’Accademia di Belle Arti Santa Giulia di Brescia (foto http://iluoghidelcuore.it/luoghi/87849)