Ci risiamo. Adesso non si chiamano più “missioni di pace”, ma missioni “no combat”. Un’ipotesi dapprima ventilata che negli ultimi giorni ha invece preso forma e consistenza, tanto da farci scoprire che il progetto era in fase avanzata già nel mese di dicembre.
Del resto, mentre il governo si nascondeva dietro la classica foglia di fico, dell’operazione “Deserto Rosso”, in Niger, gli organi d’informazione rendevano pubblici numerosi dettagli, fin quando il presidente del consiglio Paolo Gentiloni ha annunciato quella che dovrebbe essere la nuova missione che vedrà i nostri soldati impegnati in Niger per contrastare il traffico di esseri umani e il terrorismo.
Apparentemente – come da Decreto del Consiglio dei Ministri – i nostri soldati dovrebbero essere impegnati nel “rafforzare le capacità di controllo del territorio delle autorità nigerine e dei paesi del G5 Sahel e lo sviluppo delle forze di sicurezza nigerine per lo sviluppo di capacità volte al contrasto del fenomeno dei traffici illegali e delle minacce alla sicurezza”. Inutile chiedersi con quali mezzi, i nostri vertici di governo sono chiari, si fa per dire. Non si tratterà di una missione “combat”. Ma come si pensa di operare in un territorio nel quale i terroristi nel corso di un’imboscata ai Berretti Verdi, hanno già ucciso quattro militari delle forze speciali statunitensi. Altrettanto inutile chiedersi se si tratterà di una missione utile agli interessi nazionali, visto che gli interessi sembra siano più quelli dei francesi che non i nostri.
Quali saranno i reparti che l’Italia impegnerà in questa missione? Probabilmente, i paracadutisti della brigata Folgore saranno chiamati ad assolvere – insieme ad altri come nel caso dei contingenti alpini – a questo ingrato compito le cui regole sono, come in precedenti circostanze, poco chiare. Quale sarà il tributo di sangue che verrà pagato per una missione “no combat” dove tutte le altre forze in campo, dai trafficanti ai terroristi, dalle forze armate francesi a quelle nigerine, senza dimenticare i soldati americani,“no combat” non lo sono affatto?
A seguito dello sfogo indignato di Anna Rita Lo Mastro, o Mamma Folgore, che nei giorni scorsi ha scritto una lettera aperta al Presidente Mattarella, registriamo intanto l’intervento del suo avvocato, Giuseppe Guerrasio (ex ufficiale di marina – ndr) il quale ha conosciuto per caso “Mamma Folgore” dopo che venne imbrattata in modo vigliacco e offensivo la targa in memoria del figlio, David Tobini, caduto in Afghanistan nel 2011.
“Ho conosciuto la Sig.ra Lo Mastro circa un anno fa, allorquando, l’ennesimo turpe e vile atto, per mano ignota, infangò la memoria del figlio David, paracadutista della Folgore, quarantunesima vittima italiana in Afganistan, sfregiando una lapide commemorativa a lui intitolata” – ha dichiarato l’avvocato Guerrasio, il quale sentitosi umanamente coinvolto ha offerto a Mamma Folgore sostegno umano e professionale , seguendo la storia di David e mettendo in luce l’incongruenza (e non solo quella) tra medaglia ed onorificenza assegnata al giovane caporal maggiore rimasto ucciso a seguito del suo eroico gesto. Una vicenda a tutti nota.
L’avvocato, che si proclama vicino ad ogni forza dell’ordine, sostenendone il valore, al contrario di istituzioni che non rispondono a tale considerazione e rispetto, afferma di sentire “il dovere, morale, ancor prima che professionale, di appoggiare, e questa volta pubblicamente, quanto, con disappunto e dispiacere, è stato espresso dalla Signora Annarita Lo Mastro, in merito al messaggio di fine anno alla Nazione da parte del Sig. Presidente della Repubblica Italiana”, ricordando inoltre come alla festa della parata militare alcune istituzioni non abbiano applaudito al passaggio della Folgore, ma – al contrario – oggi gli stessi se ne ricordano per la missione in Niger.
Finalmente un avvocato in mimetica, qualcuno che oltre alla cordoniera mette a disposizione la propria solidarietà all’Esercito Italiano.
David Tobini ha toccato il cuore del penalista, ed apre la strada su cui far luce a tante ingiustizie…
“Dovremmo tutti ricordare questi ragazzi” – continua l’avvocato, facendo riferimento a quanti caduti nei teatri di guerra, quanto a coloro che sono morti o si sono ammalati a seguito di esposizione a uranio impoverito – “riflettendo sulla nuova missione “No combat”, un po’ come quella di “pace”, dove il rischio di giovani vite è troppo alto . Non vorremmo vederne altri come David e i tanti come lui”.
Se come affermato da più parti la missione in Niger serve per “contare di più in Europa”, c’è da chiedersi fino a che punto è giusto pretendere che i nostri soldati versino il loro tributo di sangue per interessi che non sono direttamente quelli del nostro Paese. Ancora una volta, i tanto vituperati militari, dovranno rispondere “comandi!” a quanti si dimenticano di loro in ogni circostanza? I soldati obbediscono! E obbediscono anche quando durante le parate militari, non si applaude al loro passaggio…
Gian J. Morici