E’ morto in carcere, oramai vecchio e da lungo tempo malato, Totò Riina.
Un po’ di spirito cristiano dovrebbe non negare la speranza di un estremo spiraglio di ravvedimento. Ma ho inteso un prete affermare in televisione che “non si è pentito” e non gli si deve un funerale religioso e neppure laico.
La carità cristiana è stata sempre un po’ elastica: dovuta o dovuta negare. Ne erano maestri i Padri dell’Inquisizione. Maestri anche ad ottenere confessioni e pentimenti.
Quel che urta è sentire la solfa di quelli che sospirano perché Riina porta con sé nella tomba chi sa quali straordinari segreti.
Certo, anzitutto il segreto di fatti mai avvenuti, come la “condanna a morte” di Nino Di Matteo.
Quando si discuteva della definizione di “società segreta”, mi capitò di dire alle Camere che sicuramente ed indiscutibilmente segrete erano anzitutto le società inesistenti.
Si sono costruiti miti terribili di “misteri italiani”. Tanto più misteriosi e terribili quelli inesistenti, divenuti dogmi per buona parte della magistratura italiana.
Né il “mistero”, i segreti imperscrutabili sono l’ultima spiaggia dell’impotenza di certe indagini. Direi, anzi, che sono il comodo primo approdo, che evita il fastidio e la fatica di guardare e vedere ben più vicino cose realmente esistenti.
Le dietrologie servono a nascondere ciò che è avanti agli occhi di tutti. E quando muore un Totò Riina, molti sospiri di sollievo segnano la fine del pericolo che qualche comoda dietrologia si dimostri per quello che è.
Una sconcia bufala.
Mauro Mellini