Scandalo! Obbrobrio! Vergogna! Lo Stato chiede i soldi ai terremotati dell’Aquila!
Questo si legge sui giornali, si sente in televisione, lo ripetono con sdegno malaccorti politicastri.
Sono espressioni che siamo oramai abituati a sentire e questo da una parte ci convince che dovrebbe dirsi di peggio e più frequentemente, e dall’altro ci fa dar credito a chi le usa ma, al contempo, sembra esonerarci dal reagire adeguatamente.
Questa storia dei soldi che lo Stato vuole (ma si dovrebbe dire, almeno “rivuole indietro”) dai terremotati è una mistificazione, un tipico esempio della scia di una memorabile malefatta giudiziaria, della quale i responsabili non risponderanno a nessuno e nessun addebito è stato loro fatto e sarà fatto in futuro. Ma è anche la prova che l’idea di una giustizia purchessia, di un buonismo verso i disgraziati che supera ed abbatte, con un controsenso allarmante, l’idea di giustizia e di legalità, è assai diffusa nel pressapochismo della gente.
Veniamo ai fatti.
Dopo il terremoto che nell’aprile 2009 devastò l’Aquila e larghe zone d’Abruzzo e dintorni venne fuori che uno “scienziato dilettante”, o forse un mezzo “mago”, aveva previsto il cataclisma e lo andava predicando.
E’ inutile dire che non adduceva alcun argomento a prova della sua “previsione”, che, come è noto è, almeno allo stato della scienza ed in prospettiva non breve dei suoi sviluppi, assolutamente impossibile, come è riconosciuto dagli apparati scientifici e di difesa civile di tutti i Paesi, ed in particolare di quelli in cui il rischio sismico è assai elevato.
Così un Comitato Scientifico della Protezione Civile dichiarò che quelle previsioni non avevano fondamento.
Ma il terremoto arrivò sul serio. Secondo il criterio di una versione ridicola, ma prevalente della “obbligatorietà dell’azione penale”, poiché “c’era il morto”, anzi ce n’erano molti, si procedette penalmente. Contro chi? Contro la Commissione Scientifica, che, diversamente dall’indovino sismico, non aveva previsto il disastro, allarmando la popolazione perché scappasse di casa ed, anzi, aveva smentito l’assai più chiaroveggente indovino.
Secondo un’altra deformazione del concetto di “azione penale”, questa andò avanti, perché l’azione penale sarebbe inutile se non si arriva alla condanna.
Il processo intentato contro quegli scienziati provocò un altro terremoto. Questa volta senza vittime, ma anche senza danni per i pervicaci magistrati sostenitori della tesi che, se l’indovino aveva previsto il terremoto, a maggior ragione avrebbero dovuto prevedere loro, che avevano fatto gli studi e possedevano tanti sofisticati strumenti. Se no, che ci stava a fare quella Commissione?
Dunque il mancato allarme aveva impedito agli abitanti dell’Aquila una tempestiva fuga lontano da tutto ciò che poteva crollare. Ergo: omicidio colposo plurimo. Non si arrivò alla invenzione del reato di terremoto preterintenzionale ma poco ci mancò.
La notizia (quella del processo) fece ridere ma anche arrabbiare l’intera Comunità Scientifica Mondiale. Ma questo sembrò stimolare ancor più la fantasia giuridico-sismico-divinatoria dei magistrati. Era un’occasione unica per riaffermare il trionfo della “verità giudiziaria”!
La verità secondo certa gente non necessariamente togata del nostro Paese è quella, come si diceva una volta, “in carta bollata”.
Da quando certi bravi ragazzi di Magistratura Democratica fecero venir di moda la “bravata giudiziaria”, lo sberleffo dei portatori della fede nell’”uso alternativo della giustizia” e della “via giudiziaria al socialismo”, si è parallelamente affermato, fino a trionfare, il concetto della “verità giudiziaria” che si sostituisce alla “verità storica” (e, semplicemente, alla verità). Una verità che attinge, anziché agli ammuffiti e polverosi documenti, agli Archivi delle Cancellerie, delle Prefetture, delle memorie dei protagonisti, alla memoria dei pentiti e, soprattutto, alle intuizioni dei P.M.
Quella era l’occasione per aggiungere, alla verità giudiziaria sostitutiva di quella storica, un’altra, sostitutiva di quella scientifica, così poco duttile alle esigenze della giustizia e degli umori delle masse. E, così gli scienziati disattenti ai progressi del sapere dei maghi più socialmente evoluti e dei loro colleghi dilettanti, furono condannati per omicidio colposo plurimo. Alcuni dei parenti delle vittime, che avevano appoggiato l’intuizione dei P.M., si erano costituiti parte civile.
Gli scienziati poco divinatori della Commissione furono anche condannati al risarcimento dei danni materiali e morali nei confronti di costoro, in solido con lo Stato. Non solo, ma fu stabilito il pagamento di una “provvisionale” (un anticipo parziale) immediatamente esecutiva “nonostante gravame”. Lo Stato, che di solito non è certo pronto a pagare, pagò la “provvisionale”.
Le cose andarono diversamente in Appello, dove tutti gli scienziati “imprevidenti” furono assolti. Lo sconcerto ed addirittura l’ilarità della Comunità Scientifica Internazionale aveva pur significato qualcosa.
La riforma della sentenza importava, come è ovvio, il dovere di restituzione della provvisionale pagata a quei poveretti (illusi da una duplice stregoneria oltre che colpiti dalla malasorte).
C’è, naturalmente, da compiangere queste vittime del terremoto, ma anche delle bravate giudiziarie. E c’è da riflettere: a questi poveracci si chiedono (doverosamente) i soldi indietro, perché farglieli dare era stato un errore. E quelli che l’errore, spavaldo e arrogante hanno commesso?
Credo abbiano fatto tutti un’ottima carriera non avendo trovato nessuno che abbia fatto loro mancare un giudizio di “ampia e profonda preparazione giuridica, prontezza di intuizione e forte impegno…”.
Mauro Mellini