Torno ancora sul “sequestro parlamentare” degli elenchi degli iscritti di tre “obbedienze” massoniche (le “principali”: quanto basta), che si riconnette al “pregiudizio antimassonico giudiziario” ed alla “demonizzazione” della Massoneria da parte della subcultura, conseguenza dei limiti intellettuali reazionari di Destra e di Sinistra. Un’insistenza cui mi spinge un’opprimente sensazione che questo spirito persecutorio, l’utilizzazione di questo alibi abbia non poco a che vedere con il pregiudizio e l’alibi antiebraico, che tanti orrori ha provocato nel Mondo. Ma cerchiamo di vederne il lato comico, se ci è possibile.
Basta leggere i sonetti di G.G. Belli per renderci conto che nella subcultura della plebe romana di quasi due secoli fa, l’uso che il potere (quello, allora, ecclesiastico) faceva dello spauracchio dei “frammasoni” (demonizzazione, del resto facilmente estesa a tutti i liberali, ai patrioti, ai fautori di riforme) era quello stesso che ne fanno i potentati di oggi. Forse un po’ meno cretino. Fornendo un ottimo materiale per la satira.
Ma, anche se non vogliamo andar così lontano, ci sarebbe, da fare un’opera di buona letteratura comica con atti e documenti giudiziari, di questa persecuzione, compilati con intenti tutt’altro che umoristici, atti che, sono passati a far parte delle “prove inoppugnabili raccolte in tante inchieste della magistratura” dei legami tra mafia e massoneria.
Ne voglio ricordare uno che mi colpì per la sua prorompente comicità, del quale ebbi modo di conoscere la “documentazione”, esistente nelle carte di un processo in Calabria.
Un “pentito”, dichiarato e valutato “assolutamente attendibile” da una o più sentenze, dichiarò di avere conoscenza di “rapporti dell’ndrangheta con la massoneria”. (Gratteri non è molto originale). Ma, evidentemente sollecitato a far di meglio, in un successivo interrogatorio spiegò che nell’esercizio della sua arte di scassinatore di banche, era penetrato nel caveau di una di esse, mi pare a Reggio. Aperta una cassetta di sicurezza, intestata a non so quale personaggio, aveva rinvenuto un’agenda. Oggetto che notoriamente interessa gli scassinatori un po’ meno che il denaro, i gioielli, gli oggetti di valore. Da diligente scassinatore, si era messo a leggere sul luogo stesso del delitto quanto annotato sull’agenza: un bell’elenco di nomi, che aveva, almeno in parte, mandato a memoria. Ne snocciolò alcuni e aggiunse “capii subito che erano massoni deviati”. Il bravo P.M. che conduceva l’inchiesta non perse tempo a domandargli da che cosa aveva “capito subito” che si trattasse di Massoni e, da cos’altro che erano “deviati”. Il pentito, infatti era da ritenere “attendibile” secondo i soliti e collaudati criteri.
Un episodio fra tanti della triste storia del “pentitismo” e della sua duttilità ai gusti dei signori magistrati!
Un altro episodio, di molti anni più vecchio, in un altro clima ugualmente (e più coerentemente) persecutorio. Ne ho un ricordo un po’ sfocato, e quello dei discorsi che poi se ne facevano ma bene mi sono rimaste impresse le preoccupazioni, la rabbia e, al contempo, l’ilarità, che provocò, tra i Miei.
Abitavamo a Tolfa un po’ fuori di paese in una casa bella e scomodissima, tra i pini.
L’estate venivano da Civitavecchia a stare “in villeggiatura” i miei nonni materni (il Nonno aveva fatto costruire lui quella casa poco prima della prima guerra mondiale).
Poiché il 20 settembre era l’anniversario delle nozze dei due vecchi coniugi, era d’uso che si festeggiasse con un bel pranzo, invitando qualcuno del paese. Era anche, per noi, la festa di fine estate.
Poi “i Nonni” se ne tornavano a Civitavecchia.
Un anno accadde che un Maresciallo dei Carabinieri Reali, molto solerte, saputo di quell’appuntamento annuale, si insospettì.
Perché quella data, proprio quella, visto che oramai il Duce aveva fatto il patto col Papa? Gli venne in mente che potesse trattarsi di un simposio massonico e, cominciò, ad “assumere informazioni” sugli invitati, su quanto avvenisse in quelle riunioni e, probabilmente, sul menù.
Quello “sbirro”, se diede corso alla “pratica”, probabilmente si fece dare del coglione dai suoi superiori. Allora poteva ancora accadere che lo strafare facesse ridere anche i Carabinieri. Erano assai brutti tempi. Ma non c’era Rosy Bindi.
Mauro Mellini