Dal 5 dicembre siamo stati bombardati, punzecchiati, ammoniti, sbeffeggiati con una parola d’ordine: non è successo niente.
Lo sbalordimento di Renzi per la legnata inflittagli dalla gente con il referendum al quale proprio lui aveva voluto conferire un significato ancor più rilevante di quello che in sé gli era proprio, era durato meno di una giornata.
Il discorso “commosso e commovente” all’annunzio dell’esito del voto era stato (almeno per chi non conosce la faccia tosta dell’ex boy-scout) in linea non solo con la promessa di andarsene in caso di sconfitta, ma con quella iniziale di andarsene a casa, di lasciare la politica. Ma dopo qualche ora Renzi era alla testa del “non è successo niente”, cui davano un contributo non indifferente di impudenza un po’ tutti quelli che erano andati fuori delle righe per la causa del SI’.
Di fronte a questa compattezza non era però difficile intravedere le difficoltà dei “negazionisti” della batosta. Piuttosto qualche menagramo dell’opposizione “problematica”, dei tarati di nazarenismo andavano mormorando, contro i pochi che avevano cercato di dare alle forze politiche del NO un assetto ed un programma adeguato alla prorompente ribellione popolare che andava delineandosi per esprimersi, appunto, con il referendum. Il loro sogghigno era un’irrisione per l’eccesso di impegno dimostrato dai fautori del NO.
Non è mancata a Renzi la faccia tosta nel sostenere all’interno ed all’esterno del suo partito l’impudente “non è successo niente”.
Probabilmente proprio questa impudenza, questa pretesa di azzerare e di rendere marginale un evento come il voto del 4 dicembre, ha fatto esplodere più decisamente la rabbia e la reazione nel P.D.
Anche di quelli che assai prudenti erano stati in occasione del referendum e che il loro NO lo avevano affidato ad una collaudata mancanza di chiarezza.
E’ successo, è successo! Non solo, come avevamo scritto già alcuni giorni fa, il “Partito della Nazione” era oramai archiviato. Ma la stessa concezione del partito di una Sinistra generica, erede del P.C.I. ma, soprattutto, della D.C. e del loro “consociativismo” spartitorio, ed, al contempo, del manipulitismo retorico, di una retorica buona per tutte le stagioni, è sconfitta e forse, distrutta.
Certo non c’è da aspettarsi che da questo partito che va a pezzi ci pervenga un’eredità rosea. Le altre forze politiche sono latitanti o si rifugiano nella rozzezza del rifiuto dello stesso sistema democratico. Il Partito dei Magistrati, che non si è fatto travolgere dalla catastrofe del renzismo, che pure è in gran parte sua creatura, pesa sulla vita del Paese e sulle possibilità di rinascita di una classe politica degna del suo ruolo e del suo stesso nome.
Ma, vivaddio, qualcosa è successo. E non è poco.
Mauro Mellini