La vecchiaia è una brutta cosa. Ve lo dice uno che se ne intende e che, a quel che sembra, ha da lamentare il funzionamento dei piedi ma non quello della testa.
Non c’è una graduatoria della pesantezza e tristezza della condizione senile a seconda delle professioni, dei mestieri, delle qualità e delle condizioni umane e sociali.
Certo per gli uomini politici il declino della vecchiaia è forse più triste, proprio perché per loro non c’è una “età pensionabile” e una certa data alla quale cominciare ad andare ai giardinetti. Peggio, poi, per quelli “di successo”, per i quali la vecchiaia e l’insuccesso qualche volta coincidono.
E per i quali l’illusione di rimedi ormonali e di ciarlatani vari è il modo con il quale affrontano la realtà.
Berlusconi è stato un uomo politico di successo. Anzi, dovremo dire “uomo di successo politico”. Ché altro che il successo ha poco conosciuto e male sopportato in vita sua.
Ho spesso confessato che avrei voluto vedere Berlusconi, dopo la sentenza di condanna che, conclusiva di una premeditata, articolata e spregiudicata persecuzione mediatico-giudiziaria, è inutile domandarsi se fosse giusta o ingiusta, presentarsi alla porta di Regina Coeli, dopo aver lanciato al Paese ed al suo partito una protesta ed una denunzia della persecuzione e del partito (il P.d.M.) che essa sottendeva. Ma è facile fare l’eroe e il martire con la pelle degli altri. Certo è che l’”affidamento in prova” che gli risparmiò la cella del carcere non lo dovette ottenere presso l’istituto per i vecchietti. Quello vero lo fece al Nazareno.
E qui la comprensione non è altrettanto piena e convinta. Perché all’affidamento in prova salvacarcere fu mandata anche la gente che lo aveva sostenuto, un pezzo dell’Italia. Con quel che ciò comporta, oltre tutto per la “legittimazione” del Partito dei Magistrati.
Questa è storia. Magari, pure malamente digerita e compresa da uno che del berlusconismo non è mai riuscito a digerire troppe cose.
Il referendum costituzionale era la grande occasione di Berlusconi per buttarsi dietro le spalle quelle pagine tristi della sua vita politica, per denunciare quell’estorsione del Nazareno. Se così non è stato non è certo per l’errore di un momento. Direi che l’errore è di chi ha pensato altro di quello che è avvenuto: Berlusconi con la sua scelta del NO quasi per necessità, con l’incertezza lasciata coltivare dalla dirigenza aziendale di Forza Italia, la sopportazione delle interferenze confindustriali di Confalonieri, ha distrutto quel che restava del suo ruolo politico.
Ma il carattere prettamente patologico e, magari di patologia senile della politica berlusconiana è emerso soprattutto in questi giorni.
Berlusconi vuole “rilanciare” Forza Italia (e ancora una volta mi domando: ma che fine ha fatto quel “coso”, Parisi?) e tutto il Centrodestra.
Come? Mandando le cose per le lunghe, così da far dimenticare il referendum. Vagheggiando il ritorno alla proporzionale, ma non per scelta di sistema, ma per convenienza contingente. E, poi la gran cavolata: dice che, naturalmente vuole vincere (del resto non sa e non ha fatto nulla per saper anche perdere e affrontare la sconfitta). Ma aggiunge che, se non avrà il 51% dei voti si metterà d’accordo con Renzi, assumendosi così gratuitamente, una fetta del calcio nel sedere che gli Italiani, la gente, senza che qualcuno realmente ne assumesse la guida nella battaglia, hanno somministrato a quell’arrogante caricatura del “capataz” della Nazione.
A parte il fatto che quella condizione (“se non avrò il 50% dei voti”) non è una condizione, ma un modo per dire “non potrò che”, “farò così”, prospettare comunque l’accordo con l’avversario che lo sprezza non è certo il modo per risollevare un partito e vincere le elezioni. E, questo, rivolgendosi ad un Paese che ha dato il meglio di sé in modo così netto, superando arzigogoli e tranelli.
Il popolo del NO, caro Berlusconi, dice NO a questo suo senile nazarenismo. Giustificarsi con il fatto che non c’è di meglio è cosa miserabile.
Il Nazareno se lo goda, con Confalonieri.
Mauro Mellini