E’ passato Natale. Non credo di essere stato il solo che ha tirato un sospiro di sollievo perché a noi, all’Italia, è stato concesso di passarlo senza che qualche attentato venisse ad insanguinarlo.
Certo, c’è poco da sentirsene sollevati. Bombe, raffiche di mitra, autocarri-ariete che seminano morte e terrore in altre Città d’Europa non si può dire che non colpiscano anche noi. E non solo perché l’obiettivo dello stragismo islamico è l’Europa nel suo complesso. Non solo perché ovunque avvengano gli attentati c’è sangue italiano che viene sparso, quasi a volerci ricordare che è un intero Continente, tutta la sua popolazione sotto attacco.
L’aspetto più rilevante e preoccupante, da un punto di vista localistico italiano, è che se al di qua delle Alpi non scoppiano bombe non crepitano mitragliette, c’è qui un via vai di “bombaroli” (come si diceva qualche anno fa) di terroristi. Non solo di passaggio. E’ inutile cercar di convincerci che qui i terroristi vengono solo come turisti. Qui si preparano bombe ed attentati. Se gli obiettivi sono altrove, ciò dipende da scelte tattiche e strategiche per quel tanto che è riconducibile a programmi e piani di guerra, oltre che al caso della disponibilità di “cani sciolti” ad operare in un luogo piuttosto che in un altro, non certo dall’esclusione del nostro Paese dal novero dei “nemici” da ferire e terrorizzare.
Non mi pare che qui si abbia coscienza di ciò, come non si ha coscienza del fatto che l’assalto all’Europa dell’Islam è poliforme: esiste una connessione non casuale ma sicuramente considerata dai cervelli dell’attacco, tra l’immigrazione tumultuaria, l’invasione di sempre nuove e crescenti ondate di disgraziati, la cui compassionevole condizione non esclude affatto che siano destinati a divenire massa di manovra in una strategia guerresca.
Così non si ha esatta coscienza del ruolo del petrolio in questo scontro di civiltà (non diciamo guerra di religione per non dispiacere al Papa ed ai Vescovi) con il quale sceicchi bifronti stringono alla gola il nostro Paese e l’Occidente.
Chiedere di aprire gli occhi sulla realtà di questa complessa situazione, di non perdersi dietro le astrattezze di una “accoglienza” e di una prospettiva di integrazione cui sacrificare il diritto alla difesa non solo dagli attentati, ma anche da una oggettiva invasione, il cui carattere e le cui conseguenze non si cambiano con le buone parole di Papa Francesco, non è né razzismo né xenofobia.
E bisogna convincerci che dobbiamo munirci di un apparato difensivo, non solo di Polizia, efficace e temibile. Non possiamo continuare a confidare sulla potenza miliare Americana o di Paesi Europei, spettegolando, poi, sul loro “militarismo”.
E ci sono da dire tante altre cose tanto ovvie quanto “politicamente scorrette”. Cercheremo di farlo. Senza timori.
Mauro Mellini