Non mi sarei mai dato cura di commentare un arresto, che certo non può considerarsi frutto di una eccessiva facilità a ricorrere alle manette, se esso non dovesse considerarsi la fine (è sperabile) della carriera di un personaggio che merita di essere ricordato come la metafora del marcio dell’ecologismo e della politica siciliani. E la Sicilia, come diceva Sciascia, è metafora d’Italia e non solo.
Giuseppe Arnone, avvocato “ambientalista” di Agrigento, è stato arrestato in flagranza di reato di estorsione ai danni di una Avvocatessa di Favara, sabato mattina.
Anzitutto: non confondiamo questo figuro con il suo omonimo, il Prof. Giuseppe Arnone, ottima persona, nostro buon amico.
Non ci si può mai rallegrare se una persona, quale che sia, è privata della sua libertà personale. Ma credo che Agrigento avrà tratto un respiro di sollievo.
Per anni ed anni questo pseudo-ambientalista ha fatto ad Agrigento il bello ed il cattivo tempo, qualificandosi eroe antimafia, difensore dell’ambiente, fustigatore dei costumi pubblici e privati.
E millantando, se di millanteria si è trattato, di tenere ben strette le “chiavi del cor” dei magistrati del luogo (e non solo) che “contavano”. Scriveva libri diffamatorii con una manchette: “E’ inutile che le persone qui nominate mi querelino: sarò assolto”. Questo, per anni, non è stata una millanteria.
La locale Procura pendeva dalle sue labbra e, soprattutto, faceva propri i capi di imputazione da lui attribuiti a destra ed a manca, che, poi, in genere, rifaceva del tutto, nel corso del giudizio, nei confronti di capi di funzionari, imprenditori, professionisti. Imputati, di fatto, di essergli ostili e non proni alle sue pretese. La Procura eseguiva. Il Tribunale evitava di dargli torto.
Padre padrone di Legambiente Sicilia, di essa e della sciagurata “novella” del codice di procedura e della ancor più sciagurata giurisprudenza sulla legittimazione degli “enti esponenziali” a costituirsi parte civile, faceva la sua arma personale e accorreva ad intromettersi in ogni processo per questioni anche un po’ lontane dall’ecologia.
“E’ inutile che lo quereli, lo assolvono”, mi disse un buon avvocato del luogo quando gli dissi che avevo avuto incarico di tutelare una delle sue vittime.
Non è andata così: ne ho ottenuto la prima condanna per diffamazione, confermata a Palermo e a Roma e passata in giudicato. Trovai agli atti le rabbiose sue espressioni contro il Procuratore della Repubblica dell’epoca “che, invece di procedere contro il querelante mandava avanti il processo contro di lui”.
Ma per diffamazioni che più assomigliavano a calunnie, aggravate dal suo ostentare la sua “qualifica” (firmava “il vicepresidente del Consiglio Comunale G. Arnone” e poneva lo stemma del Comune nei suoi manifesti oltraggiosi…) la “tariffa” applicata nei suoi confronti era la minima: cinquecento euro di multa.
Ma ha cominciato a prendersela con i magistrati “nuovi”: li ha sbeffeggiati, calunniati, fatti oggetto di manifesti e striscioni irriverenti.
Chiunque, al suo posto non sarebbe stato arrestato solo l’altro ieri. Faceva elenchi di avvocati del luogo con qualifiche ed attribuzioni di malefatte d’ogni genere. Anche l’Ordine, e, poi, la Commissione disciplinare, lo hanno sempre trattato con riguardo: ammonizioni, censure, qualche sospensione di pochi mesi. Ha potuto così continuare a fare la professione, malgrado la valanga di processi, condanne, risarcimenti per le sue malefatte tutte più o meno connesse ad un uso delittuoso della professione e del suo “mestiere” di “ambientalista”.
Anche alle estorsioni Arnone non è nuovo. Indagato per un tentativo di estorsione a Crocetta, Presidente della Regione ed al Senatore P.D., Lumìa, cui aveva inviato una lettera per intimar loro di metterlo in lista per le Regionali, in cui chiaramente li minacciava di tirar fuori “chi c’era dietro” la campagna sbracata a base di calunnie e di poster e tazebao, con un apposito camion tappezzato di manifesti a Catania ed a Roma per impedire che a Catania andasse Procuratore della Repubblica un Magistrato sgradito a quei signori. Il G.I.P. di Palermo archiviò con una motivazione che metteva sotto i piedi diritto e giurisprudenza: “il fatto non costituisce reato perché Crocetta e Lumìa, abituati a sfidare le minacce della mafia, non avevano certo potuto temere quelle di Arnone”. Come dire: per il reato di estorsione il tentativo non è mai possibile.
Contento Arnone, contenti Crocetta e Lumìa, i quali evitarono così di dover discutere di una asserita complicità con quel compromettente personaggio.
Benchè oramai ai ferri corti con tutti i magistrati ora in carica ad Agrigento e malgrado i molti anni passati da quando egli in Procura “era di casa”, il trattamento di inusuale clemenza verso di lui anche ora usato ha fatto parlare di riguardi per scheletri negli armadi, sia pure altrui.
Certo, benché finito in carcere e, magari tagliato fuori per il futuro dalle sue operazioni “ecologiche” ed aggressive, Arnone lascia ad Agrigento una traccia indelebile degli anni del suo malaffare. Le persecuzioni sistematiche, ostinate fino all’assurdo, di persone che non si erano piegate alle sue imposizioni non potranno essere dimenticate per misericordia verso un carcerato. Ha rovinato la vita, la carriera, la professione a molti, anche magistrati. Ha provocato al Comune danni enormi, spese faraoniche. E’ riuscito, coinvolgendo nelle sue baggianate, amministratori e funzionari, a far compiere opere inutili e fuorilegge (le famose “condotte a mare” delle fogne, ad esempio!!).
Ma lascia un monumento alla sua persona, allo sperpero, al suo ruolo nella storia della Città, al ridicolo di una giustizia che per anni ha menato per il naso. E’ il depuratore di Villaggio Peruzzo, realizzato da bravi ingegneri spendendo meno della somma stanziata per l’opera, contro i quali, Arnone, assieme a molti altri suoi “nemici” si accanì fino al ridicolo. Definiva “illegittimo, mafioso, abusivo” quel depuratore. Ottenendo condanne in vari gradi di galantuomini, fino a che la Cassazione e l’Appello di Palermo in sede di rinvio, hanno chiuso la partita con una piena assoluzione di tutti i perseguitati. Ma Arnone era riuscito a coinvolgere amministratori, sovrintendenti, funzionari con le buone e con le cattive, inducendoli ad abbandonare quell’opera già compiuta, benchè dichiarata conforme alle leggi, sostituendola con altre soluzioni illegali, costose ed irrazionali.
Il depuratore di Villaggio Peruzzo è rimasto lì, oramai sopraffatto dalla vegetazione, monumento nascosto, ad una giustizia sostanzialmente complice di malefatte, ad amministratori tremebondi ed incapaci, a cittadini distratti.
E ad un ecologismo devastatorio ed imbroglione, di cui Arnone Giuseppe da Agrigento, avvocato (ex, oramai, si spera) è emblema e metafora.
A ciascuno il suo monumento.
Mauro Mellini
Finalmente qualcuno che ha il coraggio di dire quello che tutti hanno sempre pensato ma che nessuno ha mai osato dire.