E’ quanto mai inquietante leggere sulle prime pagine di oggi che, in seguito all’ultimo video-appello dell’Isis in cui si cita l’Italia, anche la penisola è in allerta.
E’ altrettanto inquietante che si scopra che il carcere può essere un luogo di radicalizzazione. Gli appelli dell’Isis ad attaccare ovunque in Occidente, con qualunque mezzo, non sono una novità. I “lupi solitari”, termine che non trovo adeguato in quanto si tratta di veri e propri combattenti che rispondono ad un appello, ad un input dell’organizzazione terroristica si trovano in diversi paesi occidentali già da anni. Da anni questi combattenti seguono quello che succede, comunicano fra di loro, sono pronti a svegliarsi ed a terminare la loro vita da martiri o a compiere attentati ai quali sopravvivono per farne altri. La strategia del terrore si è affinata.
L’Italia è nel mirino già da tempo. Nel maggio 2015 era già stato pubblicato un discorso in italiano una sorta di minaccia indiretta. Non è perché non vengono indicati ufficialmente target precisi che va sottovalutato il fatto che l’uso della lingua italiana è un indizio, anzi, un messaggio chiaro.
Se l’Italia sta scoprendo l’acqua calda, se impara solo oggi a leggere i messaggi spammati sul web allora è in netto ritardo. Considerati i lutti in Francia, Belgio, USA, Tunisia, Bangladesh… dire oggi che anche la penisola è in allerta significa non aver seguito gli eventi degli ultimi anni. Non serviva neppure fare inchiesta per capire.
Riguardo al rischio di radicalizzazione in carcere che il Governo italiano sembra aver appena scoperto, sarebbe bastato guardare oltre frontiera, alla vicina Francia. Coulibaly, il terrorista della strage dell’Hyper-Cacher, Salah Abdeslam, uno dei terroristi del 13 novembre a Parigi, ora incarcerato, Mohamed Merah, l’assassino di Toulouse che perpetrò la strage nel 2012, Mehdi Nemmouche… alcuni fra i tanti che si sono radicalizzati in prigione sotto l’influenza di falsi Imam o di predicatori salafiti.
E’ più di un anno che la Gran Bretagna si interroga sulla questione delle carceri e su come gestire la radicalizzazione. Una bollettino FBI dell’ottobre 2010 riporta un testo di Dennis A. Ballas , sulla radicalizzazione di carcerati.
Possiamo fare un lungo elenco alla Prevert di casi e di rapporti come quelli sopracitati. Allora, per la sicurezza di tutti, non scopriamo l’acqua calda!
Luisa Pace