La morte di Giacinto Pannella detto Marco, come si leggeva nelle liste elettorali, ha generato molte dichiarazioni da più parti. Naturale, in fondo è stato uno dei protagonisti della scena politica per oltre quaranta anni. Eppure mi ha stupito – al netto del dovuto omaggio che si rende alle persone scomparse, facendole sempre migliori di quello che non sono state veramente – la profusione di belle parole che ne hanno descritto la vita politica e sociale.
Renzi: “Leone della libertà”. Mattarella: “Coscienza critica del Paese”. Bonino: “Non ha mai avuto riconoscimenti adeguati”. E così via. Io, sono sincero, ho sempre pensato esattamente il contrario. Ho sempre pensato, e lo penso tutt’ora, che Pannella fosse una persona con delle doti personali straordinarie, un carisma assoluto, un’intuizione sopraffina, un’inventiva geniale. Ho sempre ritenuto la sua intelligenza e la sua furbizia di valore assoluto. Forse non c’è stata una personalità politica in Italia di altrettanto valore potenziale.
Ma purtroppo per lui e per noi Pannella ha sottomesso tutto il suo essere e le sue capacità al volere del proprio ego, e ha fatto del cinismo e di una versione distorta del machiavellismo italico il suo faro guida. Perché diciamocelo, un uomo politico si giudica dal coraggio e dalla fantasia, per prendere in prestito parole da un suo grande estimatore, ma anche da quello che riesce a fare in concreto.
E cosa ci lascia Pannella come eredità? Cosa ha fatto per noi, per questo paese, per altri che non siano se stesso? Pochino. Soprattutto di cose positive. Il divorzio e l’aborto? Va riconosciuto a Pannella di aver cavalcato e stimolato il fronte del No, e di aver sempre combattuto una battaglia per la modernità sociale dell’Italia. Ma non dimentichiamoci che in entrambi i casi i meriti principali vanno a Loris Fortuna, comunista e partigiano prima, socialista poi. E che la legge fu votata in Parlamento con l’appoggio del PCI, e sempre con l’appoggio del PCI – magari un po’ svogliato all’inizio per motivi di bieca tattica politica – al referendum promosso dalla DC il fronte dei No ebbe la meglio. Insomma, la paternità di divorzio e aborto a Pannella non l’ho mai vista, e non la vedo neanche ora. Ma anche volendogli attribuire questi meriti, che pure in parte ha, la bilancia pende decisamente da un’altra parte. Pannella è stato responsabile di aver introdotto nella pratica politica tutto ciò che oggi è diventato comune (e invisa) usanza: il cinismo, la spettacolarizzazione, la personalizzazione dei partiti, l’abuso e la distorsione degli strumenti legislativi, il marketing continuo di se stesso, il ricatto morale.
Pannella è stato per lungo tempo la terza gamba di un sistema politico statico e immutabile, che aveva bisogno di una scheggia impazzita per dimostrare la sua magnanimità, e Pannella si è prestato con piacere a questo gioco, forse inconsciamente, ma in maniera efficace. Anche in tarda età, con abbracci mortali come quello con Berlusconi, Pannella non ha mai avuto piena consapevolezza o interesse di non riuscire a lasciare il segno nel Paese. Le processioni dei politici in ospedale, quando lo ricoveravano durante gli scioperi della fame, gli inviti da parte delle massime autorità a desistere, le conferenze stampa in cui beveva la sua urina, tutti rituali stanchi e stantii a cui egli si sottoponeva sempre schiavo di un ego smisurato, che gli ha fatto perdere di vista da subito l’obiettivo più alto: il miglioramento della società in cui viveva. Non è un caso se nessuno, neanche alla fine la Bonino, ha resistito vicino a lui: i mostri creati da Pannella, da Rutelli, a Taradash, a Marco Negri, a Capezzone, tutti personaggi usati per illuminare il radioso volto del principe, e poi eliminati quando hanno tentato di esprimere indipendenza dal padre-padrone, e finiti nei vicoli ciechi di una politica da riciclo. E poi, se non bastasse tutto ciò, a Pannella vanno attribuite delle colpe gravi, gravissime: aver tolto alla giustizia Toni Negri, che lo ha ricompensato fuggendosene in Francia umiliando così il leader radicale, e aver portato in parlamento l’Onorevole Ilona Staller, che voleva essere il paradigma della prostituzione politica, ma è stata solo il triste inizio di un degrado che allo stato attuale non si è ancora arrestato. Senza dimenticare un uso distorto dello strumento referendario: l’Italia ha tenuto il primo referendum nel 1974, nello spirito dei padri costituenti, ossia lasciar decidere al popolo se una legge fosse giusta o no.
Dopo, Pannella e il suo partito-persona hanno abusato di questo strumento, non solo in quantità – presentando a volte decine di stravaganti quesiti spesso bocciati – ma anche nella sostanza, limitandosi a spostare virgole o parole per cambiare il senso di una legge. Ma poi, diciamolo, il machiavellismo di Pannella è stato un machiavellismo sterile, dove i mezzi non hanno trovato giustificazione in alcun fine, se non quello di mantenere la propria centralità in un movimento di nicchia e quello forse non voluto di creare imitatori che hanno sfruttato e migliorato le tecniche di marketing politico di Pannella, ammodernandole con gli strumenti televisivi prima, e della rete poi. Pannella allora, così come Grillo oggi, ha scelto il suicidio politico e di non contare nulla per questo Paese, pur di fare la guerra a coloro che potevano rappresentare i naturali alleati di politiche veramente riformiste. Perché amici, in un paese democratico le riforme non si fanno con il cinque o il dieci e neanche con il trenta per cento. Ma questo Pannella lo sapeva bene, ed era proprio quello che voleva. E quindi, nel rispetto per l’uomo, rispetto che si deve a tutte le persone che lasciano questa terra senza sapere se ne troveranno un’altra, il politico Pannella, l’uomo che avrebbe potuto fare molto ma che ha scelto di non fare niente, non ci mancherà.