
A seguito degli attacchi terroristici di Bruxelles del 22 marzo, diversi paesi membri dell’Unione Europea hanno sollecitato misure in grado di dare una risposta globale alla minaccia terroristica.
Lo stesso Presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker, ha proposto la creazione di una “unione di sicurezza” per combattere a livello europeo il terrorismo, sottolineando la necessità di condividere le informazioni tra gli Stati membri per evitare che in futuro possano accadere stragi come quelle che si sono verificate in Francia e in Belgio.
Copia conforme di altri incontri avvenuti ogni qualvolta si verificano attentati, salvo poi dimenticarsene il giorno dopo, quando gli interessi dei singoli Stati prevalgono su quelli della sicurezza dell’intero continente.

Non c’è da meravigliarsene, se consideriamo che in Francia, a pochi giorni dagli attentati del 7 gennaio 2015, il livello di guardia tornò ad abbassarsi, fino a quando il 13 novembre altre stragi tornarono a insanguinare la capitale francese e venne proclamato lo stato d’emergenza.
Il giorno dopo gli attentati di Bruxelles, anche il Belgio ha portato a 4 il livello di allarme, ovvero massimo livello di allarme che tradotto in poche parole significa “attentati imminenti”.
Ancora 24 ore, e l’allarme scendeva nuovamente a livello 3. Se non fossimo in presenza di fatti tanto tragici, verrebbe da ridere… Cos’è successo? Qualcuno ha forse avvisato i servizi segreti che più di “attentati imminenti” si trattava di “attentati portati già a termine con successo” e quindi l’allarme poteva rientrare?
Non molto diversa la situazione italiana, dove i proclami, ora tranquillizzanti, ora allarmanti, si susseguono sull’onda delle emozioni dovute al momento.
La verità è che il terrorismo islamico ha colto l’Europa impreparata. Un’Unione composta da 28 Stati membri, che non dispone di una rete di sicurezza unica, affidando ai singoli Stati la gestione di aspetti rispetto i quali emergono i problemi legislativi rimasti insoluti, le insufficienti risorse umane e materiali per mantenere le agenzie di intelligence nelle condizioni di poter operare in maniera efficace contro il terrorismo.
L’Europa infatti, dispone di due sole strutture in materia di sicurezza. L’Europol, alla quale è affidato il compito di contrastare la criminalità organizzata internazionale, e il Frontex che gestisce la cooperazione tra le guardie di frontiera nazionali e le frontiere esterne dell’UE. Sotto il profilo giudiziario, tocca invece all’Eurojust, coordinare le indagini e le azioni penali tra i vari Paesi membri.
Il risultato è quello che mentre le persone circolano liberamente all’interno dell’UE, grazie agli accordi di Schengen, gli operatori della sicurezza sono vincolati al rispetto di norme territoriali che non favoriscono certo le indagini, penalizzate anche dal fatto che i governi dell’UE non vogliono condividere tutte le loro informazioni e che le banche dati non sono tra loro collegate. Un bel favore fatto ai terroristi che, checché se ne dica, hanno dimostrato di poter utilizzare le nostre frontiere esterne come fossero le porte di un qualsiasi condominio.
L’Unione Europea resta dunque soltanto un nome, una bandiera, una moneta unica. Nulla a che vedere con quello che possono essere gli Stati Uniti d’America o la Federazione Russa.
Non abbiamo un esercito, non abbiamo una sicurezza dell’Unione, non abbiamo nulla che possa lontanamente far pensare a “Stati Uniti d’Europa”. E questo, ci penalizza non poco nell’affrontare temi come l’immigrazione, la criminalità organizzata transfrontaliera, il terrorismo.
Ci troviamo dinanzi alla frammentazione politica dell’Europa, con i singoli Stati membri costretti ad affrontare problematiche di carattere globale, senza averne i mezzi economici, logistici e normativi. Il fallimento di un’Europa Unita costruita senza aver fatto prima i cittadini europei.
In questo marasma, l’Italia si sta comportando come fino a soli pochi giorni fa faceva il Belgio. Sul nostro territorio ad oggi, per fortuna, non si sono registrati attentati. Questo fa sì che molti si sentano tranquilli, quasi ci fosse un tacito accordo con i tagliagole dello Stato Islamico.
Nulla di diverso da quello che accadeva in Belgio, quando chi governava il Paese era convinto che bastasse provare a integrare anche gli estremisti islamici, magari senza dar loro troppi fastidi, per vivere tranquilli senza il rischio di attentati. I fatti, hanno, purtroppo, dimostrato che ci vuol poco a far venir meno queste rosee prospettive.
Quando toccherà nuovamente alla Francia o al Belgio? Quando all’Inglilterra, la Germania, l’Italia o la Spagna?
Passato il momento peggiore, quello delle ore successive a un attacco, quando le intelligence poco intelligenti lanciano l’urlo di un attacco imminente, salvo poi scoprire, forse dalle emittenti televisive, che era avvenuto il giorno prima, l’allarme rientra.
Terrorismo a intermittenza. Come un rumore o una luce non continua. Come un tic tac o un improvviso bagliore…
Gian J. Morici