Nel giro di pochi giorni qualcosa si è rotto nel giocattolo della politica italiana.
L’irresistibile velleità di ascesa di Renzi e del Renzismo ha subìto una battuta d’arresto. E’ bastata che una truffa da anni conosciuta come tale, le “primarie”, si mostrasse un pochino per quello che è e per quello che si è fatto in modo che debba essere, perché l’“ovvietà” del doversi affidare al Partito della Nazione si trasformasse in interrogativi sulla effettiva possibilità di coprire tutte le esigenze della politica italiana con la formula Renzi.
Da una settimana all’altra teorici, che so, del “paradigma Confalonieri” sono passati a teorizzare scenari diversi. Gli eventi europei, ritenuti la chiave della ineluttabilità di Renzi e del suo “fare” (ne è, in realtà sempre “voler fare”, e “pretesa di aver fatto”) sono divenuti la cartina di tornasole del rancido della sua essenza. L’eventualità di una sconfitta alle Amministrative di giugno ed al referendum di ottobre viene evocata come necessaria ipotesi per un valido ragionamento politico.
Si direbbe, e lo dicono, magari, i patiti delle dietrologie, che è mutato il “paradigma”.
Cioè è mutato il Confalonieri o il titolare del paradigma del giorno della politica italiana.
C’è del vero, cioè ve ne è in abbondanza, almeno a sufficienza nelle conclusioni da trarre da certi indizi? Non sarò certo io a cercar di dare una risposta. Mi basta prendere atto che, ancora una volta i sostenitori delle ineluttabilità, delle intangibilità e degli immobilismo debbono affrettarsi a formulare ipotesi di “intangibilità diverse”.
Certo è che, dei pilastri del Renzismo, l’unico che non sia fondato sulle chiacchiere, la mancanza di alternative (che non è mai assoluta, né mai concepibile senza un riferimento al breve, al medio, al lungo termine) è quello che tuttora appare il meno arbitrario e falsificante.
Lo sbando del Centrodestra è indiscutibile, né sembra lasciar intravedere un punto di arresto.
Non starò a dire una parola delle velleità di un Salvini di rompere i confini “padani” della sua Lega e di proporsi da Le Pen italiano come leader di una Destra più aggressiva e di una possibile alternativa al Renzismo. Né di altri più o meno ridicoli candidati ad un supposto, “facile” avvicendamento con il Boy Scout.
Due sono le più gravi deficienze, gli errori persistenti del Centrodestra e di quel che ne rimane. Di ambedue vale curarsi di quanto ne appare nel comportamento di Berlusconi, che, ovviamente, non ne è il solo “responsabile”.
Il primo è l’insistenza sul voler rappresentare, difendere, esprimere i “moderati”.
La moderazione è sommersa dall’idiozia, dall’accettazione dell’ineluttabilità del peggio, dall’antipolitica, dall’assuefazione al compromesso, dagli egoismi e, magari, dall’assuefazione alla altrui violenza, e prevaricazioni, quelle giudiziarie in primo piano.
Berlusconi fin da quando “scese in campo” si trovò a tenere un piede in due staffe: quella del liberalismo e quella del moderatismo, dell’eredità D.C., della “diga contro il Comunismo”, del “rispetto e fiducia nella magistratura”. In realtà perse quasi subito la prima staffa. Nella seconda ci rimase con il piede incastrato. Oggi non c’è più scelta: la ripresa contro l’ambiguità Renzista non può essere “moderata”. Se si deve rimproverare a Renzi di far la politica di Destra essendo di Sinistra e di voler far vincere la Sinistra cavalcando la Destra che è nel cuore e negli interessi del Paese, occorre liberarsi della preoccupazione che il liberalismo si porta dietro da più di un secolo: quella di darsi un’aggiunta, una connotazione, una maschera che ne copra la pretesa “vecchiaia”. C’è una sola (non voglio dire “c’era”) esigenza per la forza politica che Berlusconi ha, bene o male, preteso di rappresentare e di guidare: essere se stessa, pienamente, chiaramente, essere liberale, cioè, di fronte alla realtà dei nostri giorni, rivoluzionaria! Altro che “moderati” e “moderazione”.
Certo questo significa avere ambizioni diverse (ed in realtà maggiori) che non quella solamente di governare.
Essere capaci di opposizione, di sacrificio, di incidere sulla cultura del Paese.
E’ troppo? Ed allora teniamoci questa melma.
La seconda “assenza”, nell’atteggiamento di un Centrodestra che voglia riprendere in mano la capacità di guidare il Paese, è quella relativa ad una ferma, cocciuta, giusta, costante contestazione alle attuali formule di maggioranza e di governo, ed a quella che esso vuole assumere per rendersi inamovibile, la contestazione del fatto di essere il frutto di un insediamento violento, di un colpo di Stato giudiziario, del risultato della presenza prevaricatrice del partito-istituzione: il Partito dei Magistrati.
Il golpe di “Mani Pulite”, i cui effetti (salvataggio e insediamento al potere del P.C.I. e della Sinistra D.C.) furono ritardati per vent’anni dalla “scesa in campo” di Berlusconi (“superata” con un altro arcicomplesso golpe giudiziario) è la vera “matrice”, cioè il contrario, della sua legittimazione, il marchio di una origine spuria del Renzismo e del “Partito della Nazione” in corso di allestimento.
In nome di un rinnovato, aperto, integrale, rivoluzionario liberalismo, contro la violenza di un regime “paragiudiziario”, di un equivoco “Partito della Nazione”, va avanti la nostra volontà di impegnarci per il nostro Paese.
Scacciamo i fantasmi ridicoli! Gettiamo e facciamo gettare le maschere.
Con il nostro voto affrontiamo, intanto la battaglia per la difesa delle istituzioni libere contro il vandalismo e la strumentalizzazione della Costituzione “adeguata” al Partito della Nazione
e quindi il nostro
NO
al referendum costituzionale.
15 marzo 2016 Mauro Mellini