C’è, oramai, chi fa politica solo per portare a casa un po’, oppure tanti, quattrini, più o meno onestamente. E c’è chi fa politica (o crede di farla) per dimostrare originalità di pensiero e “distinguersi” affrontando argomenti da altri dimenticati (il che non sarebbe, in sé, poi male) senza la minima preoccupazione sull’effetto, sul risultato pratico, delle sue, in genere, assai poco pratiche, originalità.
Vedo con preoccupazione che questo sta verificandosi in ordine alla questione del referendum sulla cosiddetta riforma costituzionale Bosco Renziana.
Sciaguratamente qualche bravo giovane ed il solito costituzionalista giornalistico-salottiero dalle trovate storiche per la loro assurdità, hanno cominciato a parlare di referendum “per parti separate” o di “referendum parziali”. C’è chi è pronto a barare per poter perdere la partita.
Non si tratta solo e non si tratta tanto della possibilità giuridica di praticare una tale manipolazione. Una possibilità che appartiene ad una concezione dell’interpetrazione approssimativa delle norme. Votando “a pezzi” si trasformerebbe la chiara proposizione: “le leggi (di riforma costituzionale) sono sottoposte a referendum se…” in una diversa ed opposta proposizione “le riforme contenute nelle leggi sono sottoposte ai referendum se…”. E l’unitarietà del procedimento di revisione si disarticolerebbe, sdoppiandosi e frazionandosi per strada.
Il che è cosa diversa, usata per non dire che parlar di sottoposizione a referendum della “riforma” invece della relativa legge è improprio e inconcepibile (come dire “il divorzio è sottoposto a referendum”, etc. etc.).
Ma questa constatazione, per così dire, astratta, diventa concreta, e la concretezza rivela, accanto all’impossibilità giuridica, una pericolosità che fa venir voglia di gridare a chi sostiene “questa bella pensata” di tapparsi la bocca.
Se si ipotizza il referendum per parti separate o parziale (o più referendum) bisognerebbe pure stabilire chi dovrebbe provvedere a questa vivisezione del voto popolare.
La risposta non può essere che una: i soggetti che hanno, secondo l’art. 138, 2° comma della Costituzione, il potere di richiedere che la legge sia sottoposta a referendum: un quinto dei componenti di una delle Camere, oppure cinquecentomila elettori, oppure cinque consigli regionali.
Ora, basta il fatto che il referendum parziale è ritenuto impossibile da un certo numero di giuristi, per dedurne che, se la richiesta dovesse essere effettuata in modo parziale, il rischio di veder dichiarare inammissibile il referendum stesso sarebbe elevatissimo. La pronunzia al riguardo, se non altro per analogia con le norme sul referendum abrogativo delle leggi ordinarie, dovrebbe infatti essere demandata alla Corte Costituzionale.
Nemmeno il più ingenuo di quanti vogliono occuparsi di queste cose e neppure i più ingenui sostenitori di questa forzatura del voto separato o parziale, può ignorare che oggi la Corte Costituzionale è particolarmente sensibile alle “esigenze” di Renzi e del Renzismo. Basterà alla Consulta affermare che il referendum richiesto “pro quota” non è ammissibile, che il “fastidio” di affrontare il voto popolare sarebbe eliminato per questo Governo. E con ciò, anche l’ultima spiaggia per chi vuole impedire di ritrovarsi sotto un regime sostanzialmente illiberale, pasticciato e “monocratico”.
Ma, anche a voler prescindere da questa fondamentale, imprescindibile e pericolosissima questione della discutibile validità della forma della richiesta del referendum, e della impraticabilità della richiesta di un referendum parziale (con le ulteriori complicazioni derivanti da sciagurate divisioni in proposito tra i soggetti legittimati dall’art. 138, 2° comma) il fatto in sé di una discussione che dovesse protrarsi, benché solo per l’insistere di uno o più costituzionalisti salottieri in “oracoli” circa una astratta “frazionabilità (da attuarsi, magari con il famoso decreto-legge con il quale uno di essi passò alla storia), per il tempo che, poi, una stampa di regime volesse generosamente concedere a tale baggianata, ciò non farebbe che consumare inutilmente il tempo che deve essere dedicato all’informazione ed alla discussione del merito (cioè del…demerito) della cosiddetta riforma, con vantaggio per gli intenti di Renzi e compagni, che hanno tutto da guadagnare alla riduzione del referendum ad un SI o un NO ad un governo gabellato come senza alternative.
Detto tutto ciò (e sarebbe più che sufficiente) può aggiungersi che, proprio perché la cosiddetta riforma costituzionale Boschi-Renzi è un orribile guazzabuglio di elementi diversi, contraddittori e mal congegnati, il frazionamento del referendum, che con tanta imprudente disinvoltura viene prospettato da alcuni critici della riforma, che ritengono di doversi distinguere per una più elevata “raffinatezza” della loro posizione, è operazione decisamente masochistica, perché, in fondo, essi vorrebbero che il fronte del NO si facesse carico del principale vizio della cosiddetta riforma, andando, in sostanza, a mettere un po’ d’ordine nel gran pasticcio del “giure etrusco” dei rottamatori-riformatori.
La pretesa riforma è stata concepita in funzione di un assetto del potere attribuito ad un Partito Monocratico della Nazione e deve essere combattuto per quello che è, senza sconti, accomodamenti e riserve.
Il partito del NI è il partito di chi vuole essere sconfitto, guadagnandosi, magari, un pizzico di apprezzamento per l’originalità del suo pensiero e delle modalità del suicidio.
Non è questa una novità nel Nostro Paese e non sarebbe la prima volta che da certe prodezze paraintellettuali derivino gravi sciagure.
Parliamo chiaro: NO al referendum. E, intanto NO al NI.
Mauro Mellini
P.S. Rivolgo un caldo appello a quanti tra gli Amici della mia pagina facebook, che in quanto cultori del diritto e delle questioni politico-istituzionali hanno più dimestichezza con le questioni oggi trattate, di prender in considerazione le mie argomentazioni facendoci conoscere quella che mi auguro essere la loro adesione. Ed ognuno cominci a darsi da fare, anzitutto evitando che si dica che per il “referendum” c’è tempo.
- Non c’è tempo da perdere.