Profetici! Così, qualche tempo fa, “L’Espresso” definiva due libri di Antonio Evangelista (“La Torre dei crani” e “Madrasse. Piccoli martiri crescono tra Balcani ed Europa”), scritti sulla scorta delle sue passate esperienze nei Balcani, quando ha diretto le indagini sui crimini di guerra e guidato la polizia criminale nei Balcani, nella qualità di comandante del contingente italiano presso la missione ONU in Kosovo (UNMIK).
In considerazione della sua reputazione in materia di terrorismo, criminalità e diritto penale, ha anche fatto parte della delegazione italiana alla “Terza Sessione del Forum internazionale sulla criminalità e diritto penale nell’era globale” tenutosi a Pechino, che ha visto la partecipazione delle delegazioni provenienti da 17 diversi paesi confrontarsi sul tema del terrorismo in tutto il mondo in epoca post-Bin Laden e le contromisure da adottare.
Nonostante la qualità delle “profezie”, nonostante anche organi stampa di altre nazioni, come nel caso della rivista “Défense et Sécurité” dell’Institut des Hautes Ecoles Défense Nationale, con un articolo a firma della giornalista Luisa Pace, abbiano dedicato ampi spazi alle analisi di Evangelista, l’Italia sembra non aver tratto insegnamento, trovandosi a reagire tardivamente dinanzi l’offensiva del terrorismo islamico.
A riportare sotto i riflettori i Balcani e il terrorismo islamico, sono due articoli comparsi oggi su “La Stampa”. Il primo, “Dopo la Libia, il pericolo Balcani: per l’Italia si apre un nuovo fronte”, a firma del giornalista Andrea Malaguti che propone un’attenta analisi in merito alla penetrazione jihadista da quell’area verso l’Italia, il secondo, dal titolo “Propaganda e reclutamenti, Albania crocevia dei jihadisti”, a firma del giornalista Lorenzo Vidino, che fa il punto sui network jihadisti albanesi capeggiati da carismatici imam che reclutano tra le comunità della diaspora albanese d’Europa, Italia inclusa.
Nonostante l’estremismo islamico non sia un fenomeno del tutto nuovo, la cui crescita è però divenuta esponenziale nel corso degli ultimi anni, il problema dei “cattivi maestri”, ovvero i falsi Imam, ben spiegato nel libro di Antonio Evangelista, per troppo tempo è stato sottovalutato.
I predicatori di odio, da almeno due decenni hanno potuto agire quasi indisturbati per radicalizzare e fare nuovi adepti, utilizzando il Corano in maniera strumentale e distorta finalizzandolo all’incitamento alla jihad.
Ex mujaheddin, divenuti imam da un giorno all’altro, hanno avuto vita facile nell’insegnare l’odio e preparare gli studenti, i ragazzi, i bambini, alla guerra contro i presunti nemici di Allah.
Come avevamo già scritto negli anni passati, durante la guerra dei Balcani (1992/1995) vari paesi islamici offrirono agli estremisti sostegno finanziario e militare con l’invio di migliaia di guerrieri mujaheddin per aiutarli ad affrontare le ambizioni di espansione della Serbia di Slobodan Milosevic. L’accordo di pace di Dayton nel 1995, ponendo fine ai combattimenti, creò due identità nazionali divise dalla religione e a guerra finita, molti jihadisti rimasero in Bosnia e grazie a finanziamenti ottenuti dal governo saudita, costruirono centri di formazione religiosa, le “madrasse”, per promuovere l’Islam più violento.
Un ruolo determinante nella nascita di mini Stati-Sharia in quell’area, lo ebbero i wahhabiti di Vienna che fecero da tramite nei finanziamenti e si adoperarono nella formazione di molti falsi predicatori.
La stessa nascita del villaggio wahhabita di Gornja Maoca, fondato nel 1990, la si deve ai wahhabiti di Vienna (Enes Mujaković, Sabahudin Fiuljanin, Nevzudin Bajraktarevic e Sulejman Delic).
Nel corso di questi oltre vent’anni, molti altri terroristi hanno legato il proprio nome a Vienna e ai Balcani.
Mevlid Jašarević, che nel mese di ottobre 2011, aprì il fuoco contro l’ambasciata americana a Sarajevo, è un bosniaco di Novi Pazar convertito al wahhabismo a Vienna.
Haris Causevic, che fece esplodere una bomba nei pressi della stazione di polizia di Bugojno, uccidendo un agente di polizia nel giugno 2010, era in contatto con Nedžad Balcani alias Mohammed Ebu da Vienna.
Rijad Rustempašić, accusato di terrorismo,aveva avuto contatti con la leadership wahhabita di Vienna.
Il leader di Gornja Maoca, Nusret Imamovic, aveva trascorso parte della propria vita a Vienna.
Anche i più famosi predicatori di Gornja Maoca, come Mirsad Omerovic alias Ebu Telma sono arrivati da Vienna.
Grazie a questi “preparatori”, i Balcani si trasformarono in una fucina di terroristi.
Persino Mohammed Merah era stato lì. secondo il capo di un’agenzia di intelligence, prima della strage di Tolosa, Mohamed Merah aveva viaggiato in Bosnia-Erzegovina, dove frequentava corsi sull’Islam, in particolare quello di Mohammed Seifuddin Civcije, capo del gruppo islamista “Einladung zum Paradies” (Invito al Paradiso).
Arid Uka, il terrorista accusato di aver ucciso due soldati americani all’aeroporto di Francoforte il 2 marzo 2011, sulla sua pagina di Facebook, sotto il nome di Abu Reyyan, dove non nascondeva l’essere un estremista islamico, annoverava tra i suoi amici il leader dell’associazione “Einladung zum Paradies”, Sven Lau, tedesco convertito all’islam più radicale, sospettato di aiutare a reclutare volontari per la “Jihad”.
La catena di nomi che legano i Balcani al terrorismo è lunga e si spinge anche oltre oceano, come nel caso dei due fratelli ceceni-americani, responsabili della strage della maratona di Boston.
Purtroppo, la nascita dello Stato Islamico e i recenti fatti terroristici, rischiano di portarci a una generalizzazione sull’Islam che non farebbe altro che aiutare Abū Bakr al-Baghdādī, il sedicente Califfo dell’ISIS, nel suo folle progetto di espansione del Califfato verso l’Occidente, utilizzando il terrorismo quale arma per sottomettere gli “infedeli”
L’Islam è una religione e, come ogni altra fede, ha al proprio interno diverse sensibilità e modi di vedere le cose. L’ Islamismo, al contrario, è la teocrazia musulmana, la volontà di imporre ad un’intera società una visione radicale dell’Islam, trasformando il concetto di jihad, connotato da una lotta spirituale, a volte semplicemente interiore, in una lotta contro un nemico esterno, così da farlo diventare jihadismo, ovvero la dottrina dell’uso della forza per diffondere l’islamismo.
La distinzione ai nostri occhi non appare né così facile, né così netta. Se infatti è un errore coniugare l’Islam all’islamismo e la jihad allo jihadismo, senza fare le dovute differenze, generando ed alimentando un’isteria collettiva, non meno errato è sostenere che Stato islamico è totalmente separato dall’Islam, visto che proprio da un uso distorto delle scritture islamiche, i predicatori di odio cercano di reclutare i musulmani da impiegare in una guerra santa che di santo non ha nulla.
Ben lo sanno i vertici dell’ISIS che per raggiungere i loro obiettivi puntano a creare discordia tra musulmani e non-musulmani in Occidente, tra musulmani sunniti e musulmani sciiti in Oriente, creando una divisione sulla quale trova terreno fertile l’ideologia teocratica dell’islamismo, alimentato da provocazioni e auto-profezie, che portino i musulmani sunniti in Europa e negli USA a non sentirsi più al sicuro e riconoscere nel Califfato l’unica patria nella quale poter vivere o per la quale poter morire.
Il progetto di eliminazione di quella che l’ISIS definisce la “zona grigia”, ovvero la fascia di mezzo tra fondamentalisti islamici e antimusulmani, è stato esplicitamente dichiarato nell’ultimo numero della rivista jihadista Dabiq, con l’ammissione di voler mettere gli uni contro gli altri, musulmani e non musulmani, per scatenare una guerra globale di religione.
Un progetto nel quale rientrano i recenti attentati, che vedono una certa percentuale di musulmani simpatizzare con gli estremisti, e di contro una percentuale abbastanza alta di non-musulmani, chiedere misure estreme, più che contro i terroristi, contro chi professa una fede diversa dalla propria.
Gli ingredienti utili ad un’insurrezione jihadista globale, che è ben diversa da una guerra convenzionale alla quale i nostri eserciti potrebbero rispondere in maniera adeguata.
Il rischio è quello di trovarci coinvolti in qualcosa di diverso da quello che finora è stato il terrorismo che in quanto tale abbiamo saputo fronteggiare. Se l’ISIS esportasse in Occidente, così come vorrebbe, i caratteri di una guerra asimmetrica, ci troveremmo dinanzi a situazioni analoghe a quelle che gli USA affrontarono, catastroficamente, in Vietnam, per di più estese a livello globale.
Lo Stato Islamico, per portare a termine questo folle progetto, ha necessità del sostegno significativo delle comunità da cui recluta. Per impedire che ottenga questo supporto, è necessaria un’unità di intenti tra i governi delle varie nazioni, che vada al di là della cooperazione militare, minando alle basi l’ideologia degli estremisti, isolandoli dalle loro comunità di accoglienza con azioni mirate, e non in generale rivolte contro il mondo musulmano, e con un’intensa attività d’intelligence che sia in grado di prevenire gli attacchi futuri e di impedire ai jihadisti di appellarsi al pubblico musulmano.
Le politiche xenofobe in Occidente, finirebbero con il favorire i progetti del Califfato che da decenni con la propria propaganda islamista ha gettato le basi affinchè i giovani musulmani occidentali arrivassero a desiderare una teocrazia.
In questa logica, bisognerebbe far tesoro di quanto scritto da Evangelista nei suoi libri, evitando di prestar fede a qualche noto magistrato dell’antiterrorismo che qualche anno fa proclamava la sconfitta definitiva di al-Qaeda e che non sarebbe potuta nascere un’organizzazione con quelle caratteristiche, dimenticando il ruolo fondamentale dei Balcani nel terrorismo in tutto l’Occidente e nella formazione di nuovi jihadisti pronti a combattere ovunque i presunti nemici di Allah.
Gian J. Morici