DIVAGAZIONI IN UNA ESTATE TORRIDA
9 puntata
Tornato a Roma. Cerco di mettere un po’ d’ordine nel caos del mio studio. Mi capito tra le mani un libro che non avevo visto più per anni “Anonima D.C.” di Orazio Barrese e Massimo Caprara. Un libro che risale al 1977 sulla corruzione sfacciata di e per la Democrazia Cristiana ed i suoi uomini, compresi Presidenti della Repubblica ed altre “figure” divenute icone di purezza democratica e di “onestà” di “quelli di una volta”.
Alla faccia dell’onestà. Rubavano, corrompevano, erano corrotti allora peggio di oggi. Indisturbati.
Il libro, liquidato allora come “di parte”, è in effetti “di parte”, perché limita la storia del “magna magna” degli anni ’60 e precedenti e successivi a quello della D.C. (Caprara era stato Segretario di Togliatti). Ma non si tratta di invenzioni e di insinuazioni, anche se non ci sono passi di “verbali di pentiti”. Non c’erano ancora i pentiti. E, soprattutto non c’erano verbali perché nessun magistrato osava mettere il naso in quegli affari. I D.C. rubavano tutti a man salva “a fin di bene”, per la difesa della democrazia dal pericolo comunista. Ed i magistrati, “a fin di bene” e per la difesa della democrazia, guardavano da un’altra parte. I comunisti rubavano “per il proletariato”. In genere lo facevano (dovevano farlo) con un po’ più di prudenza. Ma, al peggio finivano con una “compensazione”: “Tu chiudi un occhio su di me, io lo chiudo su di Te”.
Oggi, probabilmente si ruba assai meno di allora.
Nessuno si preoccupa oggi di teorizzare o, semplicemente, accampare il “fin di bene” delle proprie ladrerie. Si direbbe che sia prevalso l’aforisma di S. Agostino “charitas incipit a semet ipso” e che ciò basti.
E si rischia di più. Ai tempi del libro di Barrese e Caprara i magistrati erano sostanzialmente al servizio dei ladri di Stato. E, poi, non erano ancora un partito, ma una Corporazione, neppure tanto compatta.
C’erano quelli che rimproveravano alla maggioranza dei loro colleghi di chiudere gli occhi e di voltarsi da un’altra parte, di essere “complici del sistema”.
E, poi, la magistratura era troppo impegnata a ritagliarsi la sua indipendenza addirittura dallo Stato per aver tempo e voglia di occuparsi delle ruberie, che del resto i più addottrinati e sinistrorsi dei suoi componenti consideravano “sovrastrutturali” rispetto al “sistema”.
Insomma se diciamo che l’arte di rubare allo Stato ed alla Cosa pubblica si è sviluppato sotto l’ala protettrice della magistratura non diciamo cosa troppo lontana dal vero.
Poi, divenuti “indipendenti”, così che di più non si può, e divenuti pure partito, si sono improvvisamente accorti della corruzione che avevano lasciata crescere a dismisura, quando a praticarla è stato anche il P.S.I. Ed hanno buttato via il bambino assieme all’acqua sporca. Anzi hanno buttato via il bambino (il sistema politico democratico ed i partiti) lasciando molto dell’acqua sporca ad imputridire.
Naturalmente i magistrati di oggi, quelli che “lottano” contro la mafia (che pure era cresciuta rigogliosamente sotto lo sguardo distratto e rassegnato di troppi magistrati) contro la corruzione e, magari, contro lo Stato reo di tentativo di subire le minacce e le imposizioni della mafia, che fanno cadere governi regionali e centrali e, poi diventano essi stessi presidenti, senatori, deputati, ministri, assessori, sostengono che quelli là che nella Prima Repubblica guardavano le spalle ai ladroni erano tutt’altra cosa, semplicemente “non erano indipendenti”.
A rileggere il libro di Barrese e Caprara si ha, in verità, l’impressione che, magari senza accorgersene (e senza che gli autori del libro se ne accorgessero) erano i ladroni ad esser dipendenti della “distrazione” della Magistratura.
Ma tanto vale occuparsi delle cose di oggi, ce n’è in sovrabbondanza.
Mauro Mellini