Il clan che ha avuto per decenni il controllo del malaffare romano, tanto da far meritare a don Carmine il titolo di “Re di Roma” insieme a Carminati, Senese e Casamonica. Di quest’ultimo non si è ancora spenta l’eco dei funerali tenutisi proprio nei giorni scorsi, per i quali la responsabilità probabilmente verrà addebitata a qualche poveraccio, salvando così chi aveva il dovere di controllare ed impedire quello che è poi accaduto.
Ma chi sono i Fasciani, indicati come una delle quattro famiglie dei “Re di Roma”?
Solo per citare qualche precedente, negli anni 80 i Fasciani sono interessati da indagini su un vasto traffico di droga; nel 1990, vengono arrestati nelle vicinanze dell’Aeroporto di Fiumicino dei camorristi, ritenuti vicini a Carmine Fasciani, mentre stavano provando delle armi appena acquistate ( mitragliatori AK -47); nel 1993, un’altra indagine per usura, estorsione e riciclaggio, porta nuovamente alla ribalta il clan Fasciani; nel 97, gli investigatori individuano ancora una volta un vasto traffico di stupefacenti che vede coinvolti uomini del clan; 1999, Carmine Fasciani, Silvia Bartoli (moglie Carmine) Terenzio Fasciani, Luciano Pruchino, Massimiliano Giansanti, Roberto Sassi ( 2001 Fasciani ), Luigi Diotallevi (usura, estorsione, traffico di stupefacenti, scommesse clandestine – clan Fasciani).
Ci fermiamo qui perché altrimenti non sarebbero sufficienti decine di pagine per descrivere il clan.
A raccontare l’esperienza personalmente vissuta è l’imprenditore Valerio (nomi di fantasia) che insieme al socio Enrico, ha vissuto il dramma di aver avuto rapporti di lavoro con persone facenti parte o comunque legate alla criminalità organizzata di Ostia ed in particolare alla famiglia Fasciani.
Enrico e Valerio, ignorando lo spessore criminale del signor Carlo (successivamente ritenuto legato ai Fasciani), entrano a far parte, prima come lavoratori e poi come soci, di un’azienda di autorimessa e revisione auto fin dai primi anni 2000.
Il loro calvario inizia quando Valerio, tra l’ottobre del 2005 ed il marzo del 2006, rileva il 10% della società corrispondendo a Carlo 130.000 euro. Carlo in tale circostanza si rifiuta di formalizzare l’acquisto delle quote dal parte del Valerio e di rilasciargli le relative ricevute di pagamento e dinanzi alle rimostranze di Valerio, iniziano le minacce, alle quali rende parte l’altro socio di Carlo, il signor C.
I due fanno presente a Valerio che avrebbe dovuto sottostare alle loro condizioni altrimenti lo avrebbero fatto “sparire” dalla circolazione ricordandogli in più circostanze i loro rapporti con la famiglia Fasciani e con persone di Casal di Principe.
Arriviamo così ai primi mesi del 2009, a seguito del furto di un auto intestata alla società di autorimessa Enrico e Valerio vengono a conoscenza dell’esistenza di un fermo amministrativo sull’auto causato da un debito mai pagato e chiedono chiarimenti, scoprendo che l’ammontare dei debiti in capo alla società ammonta ad oltre mezzo milione di euro per come ammesso nel corso di una riunione tenutasi nel novembre del 2009 dagli stessi commercialisti di fiducia del Carlo. Peraltro, in tale occasione, il Carlo ed il suo commercialista ammettevano la falsità di numerose fatture relative a sponsorizzazioni mai avvenute in favore di alcuni enti sportivi di Roma ed Ostia.
Anche in questa circostanza, viene loro imposto, con metodi mafiosi, il silenzio, negando loro, inoltre, qualsiasi documento contabile della società e la divisione degli utili.
I due soci, vengono inoltre minacciati di morte se si fossero permessi di prelevare dalla cassa la loro parte di guadagni giornalieri solitamente abbastanza cospicui (2.000,00/3.000,00 al giorno).
Valerio e Enrico, per timore di ritorsioni fisiche, non prelevano mai alcuna somma rimanendo così nell’indigenza.
A completare un quadro già abbastanza fosco, nel dicembre 2009, compare sulla scena il sedicente avvocato cliente dell’autorimessa Elvisio, il quale, venuto a conoscenza della grave situazione finanziaria dell’azienda, propone a Valerio ed Enrico la propria assistenza legale al fine risolvere i problemi societari e contrastare l’illecita conduzione da parte di Carlo.
In realtà, il presunto avvocato Elvisio, non solo non è un avvocato ma è anche in stretti rapporti col Carlo – al quale lo lega l’appartenenza alla stessa consorteria delinquenziale – e mediante la sua condotta, commissionatagli da Carlo stesso, si propone sia di scoprire e dirigere i propositi e le strategie legali dei due sia di estorcere loro ulteriore denaro aumentando il loro senso di frustrazione e rassegnazione.
I due versano al finto avvocato la somma di 20.000 euro per prestazioni professionali ovviamente mai da lui corrisposte.
Nel giugno del 2010 le minacce di Elvisio si fanno oltremodo esplicite, tanto da pretendere da loro 10.000 euro in contanti con la minaccia che altrimenti li avrebbe rovinati e gli avrebbe fatto bruciare il garage dai suoi amici di Ostia, Napoli e Caserta.
Enrico e Valerio, dopo avergli promesso un’ulteriore dazione di 5.000 euro per il pomeriggio dello stesso giorno, si recano a denunziarlo al Commissariato di Polizia di San Basilio che interviene sul posto e, al momento della consegna del denaro, arresta il falso avvocato estorsore.
Elvisio, per le sue condotte criminose, è stato condannato dal Tribunale penale di Roma.
Intanto, la situazione sul luogo di lavoro, per Ernesto e Valerio, si fa sempre più insostenibile in quanto Carlo da Elvisio aveva appreso delle intenzioni dei due soci di adire le vie legali a tutela dei loro legittimi interessi.
Il 24 aprile – racconta Valerio – fa irruzione nel luogo di lavoro la moglie di Carlo – sig.ra Monica – la quale, in presenza di Enrico e di un altro dipendente della società inizia ad aggredirlo con schiaffi e graffi, insultandolo ripetutamente.
Monica, non paga di tutto questo, denuncia Valerio per ingiuria, lesioni e molestie sessuali descrivendo quanto verificatosi il 24 aprile in modo totalmente falso.
Una denuncia che porta Valerio a querelare la donna per calunnia, a seguito della quale il Gip del Tribunale di Roma rinvia a giudizio la sig.ra Monica.
Dal giugno del 2010 inizia un escalation di condotte vessatorie e minacce di morte, in danno di Enrico e Valerio, sempre più gravi e finalizzate a espellerli dall’azienda imponendo loro la perdita di quello che avevano costruito in duri anni di lavoro, in quanto rei di non voler più sottostare alla conduzione criminale della società da parte del Carlo, C. e dei loro danti causa mafiosi.
Ed infatti, il 14 giugno 2010 il Valerio riceve la comunicazione del suo licenziamento con la motivazione della falsa aggressione alla sig.ra Monica. In primo grado il Giudice del lavoro del Tribunale di Roma, pur non giudicando chi avesse raccontato la verità tra Valerio e Monica (che invece in sede penale è imputata per calunnia), per il solo fatto che nella sede lavorativa Valerio fosse rimasto coinvolto in una colluttazione con la figlia del socio accomandatario, ha ritenuto legittimo il licenziamento. Tre giorni dopo l’arresto di Elvisio) due persone, una delle quali armata, a bordo di una motocicletta di grossa cilindrata e con accento campano si recano nella sede della società di autorimessa dicendo ad Enrico di essere amici di Elvisio e chiedendo specificamente del Valerio. Una volta dinanzi a Valerio lo minacciano pesantemente dicendogli che se non avesse ritrattato la denuncia contro Elvisio gli avrebbero spezzato le gambe e che se lui ed Enrico non avessero abbandonato per sempre l’azienda la vicenda sarebbe finita male.
Enrico e Valerio, terrorizzati, decidono di non sporgere querela.
Enrico inizia a ricevere telefonate anonime minatorie, fin quando non sporge denuncia narrando che mentre guidava nel traffico di Ostia in compagnia di Valerio e della moglie era stato affiancato da due persone a bordo di uno scooter, una delle quali impugnava una pistola che indirizzava contro di lui prima di dileguarsi nel traffico.
Valerio denuncia che ignoti avevano stato affisso sulla sua porta di casa un foglio A4 contente la scritta: “INFAME CE LA PAGHERAI”.
I due, nonostante terrorizzati, dal giugno del 2010 ai primi mesi del 2012 presentano numerose denunce.
Carlo, nel frattempo, licenzia un reo di aver testimoniato in favore di Valerio in merito all’aggressione subita da lui dalla sig.ra Monica.
Per sopravvivere, tentano di aprire su Ostia un’alternativa attività di autorimessa e revisioni auto, sino a quando C., venuto a sapere dell’iniziativa, non gli intima di lasciar perdere altrimenti gli avrebbero “bruciato il nuovo garage”.
Per far desistere i due dalle iniziative legali intraprese e per renderli ricattabili – afferma Valerio – Carlo e C. ricorrono all’offerta gratuita di droga e sesso presso un locale di Ostia di proprietà della famiglia Fasciani.
Enrico e Valerio sono costretti a desistere dall’iniziativa di aprire una nuova attività di autorimessa e revisioni auto, e ad andare via da Ostia, perdendo il lavoro, l’azienda, gli utili economici che essa rendeva, la pace, la serenità e la sicurezza.
Questo il calvario – raccontato da Valerio – di due piccoli imprenditori sottoposti a truffa ed estorsione che hanno avuto come esito finale l’estromissione, sia come lavoratori che come soci, degli stessi dall’azienda di cui facevano parte.
Anni di terrore, di difficoltà economiche, che hanno rovinato la vita dei due uomini e delle loro famiglie.
Tra i clienti delle società di Carlo, alcuni morirono assassinati o in circostanze strane. Alcuni nomi di questi, per chiunque si sia interessato alla malavita e alle mafie romane, sono abbastanza significativi: Paolo Frau . Giuseppe ”Pippo ” Blandina, Vincenzo ”Chiccho ‘ ‘Pompei, Giueppe ”Pino” Scriva, Fabio Carichino.
Altri clienti, i cui fascicoli giudiziari sono abbastanza nutriti, erano: Aslan Berisa ”Zac”, Paolo Mariantoni ”Gambalunga”, Emiliano Belletti ”alvaretto ”, Slavi, Simone Mignacca, Vincenzo De’Angelis ”caprotto”, Roberto Pergola ”Negro ”, Vito Triassi, Roberto Giordani ”Cappottone ”, Adamo Castelli.
Parafrasando “Una Storia Americana” di E. De Angelis, “e Roma, Roma aspettava… Roma guardava, Roma severa…