Doveva morire anche Boris Nemtsov perché si ricominciasse a scrivere contro il regime di Putin?
Boris Nemtov, l’uomo assassinato ieri notte a colpi di arma da fuoco in pieno centro a Mosca, a qualche passo dal Cremlino, era l’ex vice primo ministro di Boris Eltsine.
Nemtsov era pronto a scendere nuovamente per strada contro Vladimir Putin ma il suo disaccordo con il presidente russo gli è costata la vita. Poco prima di essere assassinato, da una radio moscovita, aveva lanciato un appello a manifestare con un forte discorso sull’Ucraina e contro Putin.
Sapeva di essere in pericolo. Quando Putin si era candidato al suo terzo mandato presidenziale Nemtsov aveva condotto una contestazione senza pari contro colui che fu comunque eletto. Per questo fu arrestato più volte, subì perquisizioni e fu messo sotto intercettazione telefonica. Nemtsov non ha mai smesso di denunciare i sistemi del Cremlino e la corruzione di un sistema che aveva imparato a conoscere durante la sua carriera al fianco di Eltsin del governo del quale fu un Ministro riformatore. La sua carriera cominciò poco prima del crollo dell’URSS, già governatore della regione Nijni-Novgorod, rappresentò poi quei giovani ministri riformatori del dopo URSS.
Il posto da vice primo ministro, incaricato del settore energetico e dei monopoli, posto molto ambito, gli costò non poche critiche da parte del Cremlino stesso che lo accusava di avere legami con gli oligarchi che approfittarono delle privatizzazioni negli anni ’90. E Boris Eltsine, che voleva farne il suo braccio destro, preferì poi prendersi al fianco il capo dell’ex KGB, divenuto FSB, ossia lo stesso Vladimir Putin.
Fu così che, nel 1998, Nemtsov passò all’opposizione contro il suo rivale divenuto presidente e dai banchi della Douma, la camera bassa del parlamento russo nella quala siedeva come membro del partito liberale PSP, continuò a scagliarsi contro Putin. Fu lui a definire le elezioni legislative del 2007 come “le più disoneste della storia” e nel 2008 creò il movimento Solidarnost con l’oppositore Gary Kasparov, noto come l’ex campione di scacchi russo.
Non ha mai smesso di opporsi a Putin, anzi, quando quest’ultimo fu rieletto nel 2012, continuò a denunciarne la corruzione, puntando il dito su quanto avveniva attorno all’organizzazione delle olimpiadi invernali di Sotchi, il tutto al fianco di un rappresentante della nuova generazione di oppositori, Alexeï Navalny.
Domenica scorsa i due oppositori avevano lanciato un appello a manifestare contro la cattiva gestione del Cremlino, la grave crisi economica che attraversa la Russia, le sanzioni occidentali ed il crollo del prezzo del petrolio. Un responsabile della manifestazione, Leonid Volkov, ha annunciato che questa sarà annullata ma sostituita da una marcia alla memoria di Boris Nemtsov.
Quanti Nemtsov dovremo ancora commemorare? Quanti attivisti, politici, giornalisti che criticano la politica presidenziale devono continuare a vivere sotto minaccia? Nel 2006 il mondo si era commosso per l’assassinio della giornalista russa Anna Politkovskaïa nel suo palazzo a Mosca. La giornalista, che lavorava al giornale Novaïa Gazeta, è morta per aver denunciato il non rispetto dei diritti umani in Cecenia ed il comportamento del Presidente Putin. Da allora la si ricorda solo il 7 ottobre di ogni anno ma di acqua sotto i ponti ne è passata e nulla è cambiato. Cinque sospetti furono riconosciuti colpevoli dal Tribunale di Mosca ma ancora non si sa chi diede l’ordine.
Se il caso di Anna Politkovskaïa è quello che ha fatto più clamore, va ricordato che il giornale indipendente Novaïa Gazeta ha pagato un pesante tributo con sei giornalisti assassinati in dieci anni oltre alla Politkovskaïa: Igor Domnikov, Youri Chekotchikhine, Stanislav Markelov, Anastasia Babourova e Natalia Estemisova sono morti per aver denunciato chi la corruzione chi il non rispetto dei diritti umani.
Gli oppositori di Putin sono in pericolo anche quando espatriati. Nel 2006, l’ex membro dei servizi russi divenuto dissidente Alexandre Litvinenko, rifugiatosi a Londra, fu avvelenato con il polonio 210. Mosca rifiuta di estradare il principale sospetto Andreï Lougovoï, ex dei servizi ed ora deputato.
Altro assassinio avvolto nel “mistero”, quello del miliardario Boris Berezovski, nel proprio alloggio, sempre a Londra. Era un sostenitore di Boris Eltsine divenuto poi fervente oppositore di Putin. Fu ritrovato morto nel suo bagno nel 2013. Si parlò di enigmatico suicidio.
L’elenco dei dissidenti auto esiliatisi non finisce qui, c’è chi dall’estero parla e chi cerca di farsi dimenticare.
Boris Nemtsov è morto ieri notte a soli 55 anni. Quanti oppositori devono ancora pagare in questo modo, assassinati da personaggi che operano nell’ombra di un governo russo che cerca, per vie diplomatiche, di mostrare buona condotta? L’ex oligarca ed anche lui oppositore al Cremlino ha dichiarato alla stampa russa che “il conflitto in Ucraina porterà la Russia alla sua fine come l’invasione in Afganistan aveva provocato la fine dell’URSS”.
E queste sono parole di russi veri, non di osservatori da fuori, che probabilmente in Russia non potrebbero neanche mettere piede.
Ma di Nemtsov, il portavoce di Putin ha detto “Con tutto il rispetto per la sua memoria, politicamente non rappresentava alcuna minaccia”. Non sembra proprio il giusto epitaffio.
Luisa Pace