Una favola per Natale.
Vieni forestiero, non avere timore.
Il nostro piccolo paese incastonato tra le rocce è costruito per respingere, ma solo chi vuole farci del male.
I nostri concittadini sono montanari ruvidi, duri, temprati dalle intemperie e dal lavoro nei boschi, ma sono persone generose.
E’ probabile che se li dovessi incrociare di giorno, lungo la via principale, ne ricaveresti un’impressione sbagliata.
Perché non sorridono quasi mai, sono silenziosi, gli occhi bassi, sempre intenti a fare qualcosa di difficile e faticoso.
Sai, la vita quassù è dura e non abbiamo avuto il tempo di sviluppare la cortesia che caratterizza di abitanti della valle, con i loro abiti colorati, le feste, e le reginette di bellezza.
Noi dobbiamo combattere contro le nostre stesse case che stridono giorno e notte, contro i boschi che ci vogliono conquistare, contro le montagne che incombono sulle nostre teste, contro il vento, la neve, la pioggia e il freddo.
Per questo ci perdonerai se non ti accogliamo con urla di gioia e banchetti in tuo onore.
Ma se una sera, quando il gelo impedisce di camminare per la strada, vorrai unirti insieme a noi nell’unica osteria aperta fino a tarda notte, ci vedrai ridere e scherzare, rossi di caldo e di birra.
Ci sentirai cantare vecchie canzoni montanare e nuovi inni alla gioia e al piacere della vita.
Vedrai i più giovani morire d’amore per una ragazza, non importa se non tanto snella o aggraziata, e gli anziani scuotere la testa in segno di disapprovazione.
E finalmente, quando ti sarai riscaldato al calore del grande camino, la curiosità prenderà il sopravvento e me lo chiederai.
Tutti i forestieri me lo chiedono.
Tutti mi fanno la stessa domanda: perché il giglio?
Perché questo paese così freddo e ghiacciato, in cui coltivare patate sembra essere il lusso più grande che la terra conceda, ha scelto il giglio come simbolo?
Perché ogni porta, ogni finestra, ogni abito, ogni singolo attrezzo ha un giglio intagliato?
Sarò paziente, forestiero, con te come con tutti.
E ti racconterò una storia.
Molti anni fa, molto prima che io nascessi e che mio padre nascesse, il nostro paese entrò in guerra.
Non mi chiedere perché, non c’è mai una ragione seria per una guerra.
Qualche volta è per colpa di una donna, oppure per delle ricchezze, per un’onta, per la conquista di un territorio.
Ma non ci sono mai ragioni per uccidere altri esseri umani.
Ma tant’è, il paese fu coinvolto in una guerra sanguinosa che durò anni e anni e che sembrava non voler finire mai.
Il paese stesso ne moriva, perché le braccia più forti erano impiegate per reggere una spada, e nessun paese può sopravvivere se affidato solo a donne, vecchi e bambini, soprattutto un luogo duro come questo.
Mentre la guerra insanguinava le nostre terre, ai margini del bosco, dove la vita è più dura perché la battaglia contro la natura più difficile, viveva una famiglia.
Una delle poche famiglie in cui l’uomo di casa non era andato in guerra.
Aveva resistito strenuamente ai richiami delle armi per stare vicino a sua moglie e a sua figlia.
Lily, si chiamava la piccola, una bambina di quattro o cinque anni.
Pensi che il nome non sia un caso? Sei arguto, forestiero, ma non anticipare le cose; ascolta con calma la mia storia mentre bevi la tua birra.
Lily aveva i tratti della nostra gente: capelli neri, occhi scuri.
Ma aveva la pelle bianchissima, e una cosa in più degli altri: era bella.
Alta per la sua età, aggraziata, sorridente.
Tutti ne erano innamorati, era il fiore del nostro giardino, e forse, dico forse, era il motivo per cui tutti avevano chiuso un occhio quando il padre era sfuggito alla chiamata alle armi.
Ma lo sai, la guerra non risparmia niente e nessuno: nessun fiore, nessun cuore, nessun incantesimo.
La casa era isolata, e un’avanguardia dei nostri nemici la assaltò.
Il padre combatté strenuamente, ma era solo e non avvezzo alle arti militari.
Quando i paesani raggiunsero la casa, attirati dalle urla, la tragedia si era ormai consumata.
Il padre e la madre erano morti, trucidati da quei barbari che pretendevano le nostre terre, e la bambina scomparsa.
Trovarono le tracce dei suoi piedini nella neve, era corsa via scalza, e le seguirono fino ad una radura, dove le impronte improvvisamente scomparvero.
La cercarono disperatamente per giorni e giorni, con la luce e con il buio, ma non la trovarono.
E alla fine dovettero rassegnarsi ad accettare che la tragedia si fosse consumata.
Se possibile questo evento rese la guerra ancora più cruenta; i miei concittadini misero ancora più ferocia nelle loro azioni, e da una parte e dall’altra le nefandezze aumentarono e sembravano non avere mai fine.
E Lily?
Era morta? Magari di freddo e di fame?
Oppure divorata da una bestia selvatica?
No, non andò così, altrimenti non saremmo qui a chiacchierare stasera.
Non chiedermi come lo so, anche questa è una domanda che mi fanno tutti ma non rispondo a nessuno.
Però se vuoi posso raccontarti cosa è accaduto alla bambina.
Ricordi che le impronte finivano improvvisamente nella radura, in mezzo alla neve fresca?
Come è potuta scomparire una bambina nel nulla senza lasciare altre tracce?
Facile.
E’ stata portata via da qualcosa che era in cielo.
No, non una di quelle macchine volanti di cui si fantastica nelle notti in cui l’alcool scorre particolarmente copioso.
Era un falco.
Il signore di queste montagne, un predatore implacabile, un essere dalla vista acuta e dagli artigli poderosi.
Che si nutre di tutto ciò che corre incauto a terra, fuori dalla protezione del bosco.
Vuoi sapere se Lily è stata uccisa dal falco?
Non ho detto questo.
Ho detto che è stata presa.
Il falco l’ha vista correre, impazzita dal dolore, e l’ha afferrata con sicurezza ma con delicatezza con i suoi artigli e l’ha portata lontano, in mezzo alle zone più recondite della foresta che circonda le nostre terre, dove nessuno di noi si avventurerebbe mai.
Esiste un luogo, in questa foresta, un luogo che qualche ignorante non esiterebbe a definire magico, perché in mezzo al freddo e alla aridità del terreno anche in pieno inverno l’erba è verde, l’aria calda, e gli animali abbondano.
Ma non è magia, credimi.
Come faccio a saperlo?
Miscredente! Preferisci credere alla magia, o alle parole di un anziano, o forestiero?
Il luogo non è magico, tutt’altro: dalle viscere della terra sgorgano delle acque bollenti, ricche di minerali, che rendono il terreno fertile e l’aria tiepida.
Ed è proprio lì, in questa oasi in mezzo al deserto di ghiaccio, che viveva la lupa.
Sì, lo so anche io che i lupi amano vivere in mezzo alle nevi, sugli strapiombi ghiacciati da dove possono vedere le prede e lanciarsi verso una caccia brutale.
Ma non ho detto lupi.
Ho detto la lupa.
Una bestia solitaria, che aveva abbandonato i suoi simili e aveva scelto l’oasi come sua residenza per la facilità con cui poteva cacciare il cibo senza bisogno del branco.
Il falco scese e lasciò la bambina davanti alla grotta dove sapeva che la lupa si rintanava quando era stanca.
Piano, senza fretta, dal buio della grotta l’animale spuntò.
Prima gli occhi, poi le zanne, infine tutto il resto.
Guardò il falco. Non erano amici, devi sapere. Si tolleravano tuttavia, pur cacciando le stesse prede, e non si facevano la guerra.
C’era già abbastanza guerra in quelle terre.
La lupa guardò la bambina che piangeva silenziosamente, la afferrò per la maglietta con i denti e senza girarsi la portò nella grotta.
Negli anni che seguirono, mentre il sangue in paese continuava a scorrere senza interruzione, Lily visse con la lupa e con il falco.
La lupa la allattò per un po’, poi l’aiutò a scegliere i funghi, e a mangiare piccoli animali.
Lily aveva visto sua madre cucinare, e anche se era un piccola bimbetta imparò ad usare le acque bollenti della sorgente per cuocere le carni.
Il falco invece la spingeva a non adagiarsi a quella vita protettiva.
Arrivava all’improvviso e la faceva rotolare con una spinta del becco.
Poi la stuzzicava, le faceva piccolissime ferite che emettevano solo poche gocce di sangue, ma sufficienti a far infuriare Lily che gli correva incontro con un bastone o con un sasso, e ovviamente non lo prendeva mai.
Alla fine divenne così agile, e forte, che non ebbe bisogno più della lupa per trovare da mangiare.
Questa vita sarebbe potuta andare avanti per sempre forse, ma un giorno accadde un fatto straordinario.
Forse magico, questo sì.
Ai bordi della sorgente, tra le rocce e il bosco, spuntò un giglio.
Alto, bianco, luminoso.
Quando Lily lo vide, ricordò.
Improvvisamente ricordò tutto.
Ricordò un libro che aveva sua madre, dove erano descritti i fiori più belli del mondo.
Ricordò che il giglio era il suo preferito.
Ricordò che la madre un giorno le disse di averla chiamata così perché quando era nata era bella e bianca come un giglio.
Poi ricordò quella notte terribile: la morte dei suoi genitori, la corsa, il falco, la lupa.
E per la prima volta da molti anni pianse.
Si inginocchiò davanti al giglio, lo prese delicatamente e lo strappò dalle sue radici.
Poi si girò e vide la lupa ed il falco che la guardavano.
Durò pochi secondi, poi il falco si librò in cielo sbattendo le ali, e la lupa tornò nella grotta scomparendo alla sua vista.
Lily esitò solo un attimo poi prese il giglio, indossò la giacca di pelli di coniglio che si era fabbricata, e si incamminò nel bosco.
Dopo due giorni di cammino, in cui soffrì la fame e il freddo, arrivò finalmente al paese.
Il nostro paese.
Arrivò al momento giusto, o forse quello sbagliato, non saprei dirlo.
Arrivò mentre la battaglia imperversava già nel nostro paese casa per casa, e gli uomini morivano davanti ai suoi occhi.
Arrivò con il suo giglio bianco, in mezzo al paese, e si fermò.
E tutti quanti si fermarono quando la videro.
Quando videro i suoi occhi disperati.
La sua bocca tremante.
Le mani delicate che reggevano il giglio.
Improvvisamente i soldati, che fino ad un momento prima si combattevano con ferocia, abbassarono le punte delle spade.
Il silenzio calò sul campo di battaglia.
Lily guardò tutti con rabbia, poi con compatimento, infine con tenerezza.
Gli uomini si vergognarono di loro stessi e chinarono il capo.
Il silenzio durò a lungo, finché non venne interrotto dalle campane della piccola chiesa, lontana, arroccata all’inizio delle montagne.
Era la vigilia di Natale, e mentre i preti celebravano la messa, uomini ormai induriti da anni di guerra continuavano ad ammazzarsi.
Fu un attimo, finché il primo dei soldati non si fece coraggio e gettò la sua spada a terra: il rumore così assordante che tutti sobbalzarono.
Poi un altro, poi un altro, finché tutti non ebbero gettato le armi, da una parte e dall’altra.
Lily li guardò con compiacimento, poi con il suo giglio stretto in petto si diresse verso la chiesetta, seguita da tutti i soldati.
La guerra finì quel giorno, e il giglio di Lily divenne il simbolo del nostro paese.
Ora vorrai sapere cosa ne è stato di Lily, dopo, vero?
Lo immagino, tutti vogliono saperlo.
Ma a nessuno dò una risposta.
Però, se può consolarti, chiederò a mia figlia di portarti un’altra birra.
Sì, proprio lei.
Proprio quella ragazza con i capelli neri, gli occhi scuri, e la pelle bianca come quella di un giglio.