di Ettore Zanca
Peep Show è il nuovo romanzo di Federico Baccomo, per Marsilio Editore, un libro dissacrante e vero che descrive la civiltà dell’apparenza e del giudizio, e giustizialismo sommario di questi tempi. Tempi in cui i criminali girano indisturbati e le brave persone sono considerate avanzi di galera solo per aver ricevuto un avviso di garanzia, tempi in cui si traggono conclusioni prima di veder la fine. Il protagonista del romanzo è Nicola Presci, vincitore di una edizione del Grande Fratello, che dopo un periodo di glora eccessi e donne imbocca una sempre più degradante parabola discendente. Il tutto condito da personaggi improbabili che fanno comparsate in tv e si atteggiano a divi e divi che hanno fragilità insospettabili. Da leggere, per avere il polso di cosa ci distruggerà e cosa, invece, potrebbe salvarci. Abbiamo fatto una bella chiacchierata ed ecco il frutto.
Federico, con questo romanzo hai sancito uno stile “crudo”, una realtà che sempre di più è rimessa allo status, all’apparenza. Stando a quello che si legge in questo ultimo libro, possiamo dire che non è un mondo a misura di bambino, ma proprio i bambini possono salvarci la vita?
Il mondo in cui si muove Nicola, il protagonista, è un mondo spietato, a tratti crudele, ma è tale perché lo stesso Nicola ha scelto di farsi spietato e crudele, pure se con risultati pessimi per il suo tornaconto. Così, quando nella sua vita fa l’ingresso una bambina, di fronte a quel piccolo carico di coraggio e onestà che la bambina porta con sé, Nicola riesce a ritrovare quello scarto in grado di offrirgli una prospettiva di innocenza, e in questo senso di salvezza.
Nel Libro ognuno ha una sua voglia smodata di apparire, ovunque e sempre, bello il trucco stilistico di ogni persona incontrata, che ha fatto almeno una comparsata in TV. Siamo nell’orgia del principio di Warhol, famosi almeno per quindici minuti?
Ho letto una variante della frase di Warhol che dice che in futuro tutti saranno famosi per quindici persone. Mi sembra sintetizzi bene una tendenza in atto, per cui ogni esperienza non è tale se non viene condivisa con un piccolo pubblico invisibile, attraverso un tweet, un post su facebook, una foto su instagram. Non dico che sia una tendenza per forza negativa, sicuramente è qualcosa che sta cambiando il nostro approccio alla cosiddetta privacy e che mi sembra valga la pena raccontare.
Nel libro si trovano ritratti impietosi di personaggi famosi, con nome e cognome che non facciamo qui per non rovinare la sorpresa; qualcuno ti ha già telefonato furente? O hanno approvato prima ogni fotografia narrativa?
Nessuna furia, per fortuna. Quelli sono i passaggi più giocosi e comici del romanzo. Mi piaceva immaginare una serie di celebrità che, per lo spazio di poche pagine, potessero togliersi la maschera ed essere se stessi, con tutte le piccole miserie, le piccole insicurezze, che hanno tutti. Farli comparire nel romanzo, farli interagire con il protagonista, mi sembrava regalasse alla storia un cortocircuito molto suggestivo, che offrisse una personificazione alle ossessioni del protagonista.
Proprio a proposito dei personaggi comparsi nel libro, considerato che i primi due sono sfociati in un film. adesso ci dobbiamo aspettare una nuova pellicola con tanti camei?
La realizzazione di un film segue dei percorsi sempre piuttosto complicati, per cui è difficile dire se anche questo libro avrà quel destino. Però sarebbe una bella sfida riuscire a tradurre nel linguaggio del cinema soprattutto quei passaggi del libro che, di un certo divismo di cui il cinema ogni tanto si nutre, si fanno beffe.
Alla luce della parabola del protagonista, famoso, nullità sempre più giù e poi famoso suo malgrado, cosa può salvare questa società effimera e capace di giudicare sbattendo subito il mostro in prima pagina?
C’è lo splendido incipit del Grande Gatsby, in cui il narratore riferisce il consiglio che gli diede suo padre: trattenersi prima dal giudicare gli altri. Forse si tratta solo di questo: prima di puntare il dito, bisognerebbe provare a entrare negli occhi e nella vita di chi abbiamo di fronte. Il che non vuol dire perdonare o, peggio, giustificare, ma semplicemente capire, sconfiggendo quella tendenza all’impulso, al ragionamento di pancia, che spesso ci annebbia il pensiero.