L’IS ha annunciato che Peter Kassig è stato decapitato a Dabiq il luogo scelto in base alla hadith della grande battaglia.
Il video, come avvenuto con le precedenti esecuzioni effettuate da “John l’inglese”, è stato postato sui sociel network da i jihadisti dello Stato Islamico.
Peter Kassig anche se si era convertito all’Islam, prendendo il nome di Abdul-Rahman, non è stato risparmiato dai terroristi.
Kassig, 26, era stato catturato il 1 ° ottobre 2013. Nel maggio del 2012, dopo un passato da militare, si era recato in Libano come volontario prestando la sua opera negli ospedali.
I suoi genitori, Ed e Paula Kassig, dall’Indiana, avevano registrato un video messaggio nel mese di maggio 2014 con un appello per la liberazione del figlio.
Kassig era anche il fondatore di un’organizzazione umanitaria, la SERA (Emergency Response Speciale e Assistenza), che s’interessava dei rifuggiati siriani.
“Although the disbelievers dislike this” – “Anche se ai miscredenti non piace”
Difficile da sopportare anche se possiamo immaginare quello che sta succedendo quotidianamente alle vittime dell’ISIS.
Un video di 15 minuti la cui prima parte è dedicata ai soliti anatemi contro l’occidente con immagini dei bombardamenti e della preparazione militare dei “soldati” dell’ISIS per combattere il nemico. Il nemico che comprende gli iracheni che si sono assuefatti alle abitudini apostate e che non si sono piegati all’ISIS. Cominciato scene di esecuzioni di massa di soldati e civili iracheni, trasportati come animali ed uccisi con colpi di mitra alle spalle. Li raccolgono come animali, li trasportano in furgoncini e li portano a morire.
Riprende con i terroristi dell’IS vestiti militarmente con tute mimetiche. Ognuno di loro tiene un pilota o un militare Alawita vestito di nero, le mani dietro la schiena, piegato in avanti. Il primo della macabra fila è un uomo incappucciato vestito come John l’inglese, anche se non sembra lui. I jihadisti, sui social network, hanno smentito quanto riportato dalla stampa inglese in merito al ferimento del jihadista britannico John l’inglese nel corso di un raid aereo Usa, responsabile della decapitazione dei due giornalisti statunitensi, James Foley e Steven Sotloff.
Una macabra sceneggiatura. Sempre in fila indiana passano davanti ad un contenitore con dentro 18 pugnali. Ognuno prende il suo. I militari siriani vengono fatti inginocchiare, l’uno accanto all’altro, sanno cosa li aspetta. Il boia di turno, quello vestito di nero a volto coperto, parla. Parla in arabo, poco importa, ma deve essere il solito messaggio all’Occidente. Trascorre un infinito minuto e mezzo, infinito per i soldati inginocchiati che aspettano la loro fine ed i cui volti e sguardi sono ripresi dalla telecamera. Poi, bruscamente sono buttati a terra, in avanti, nello stesso ordine, uniti dalla loro tragica sorte. E tutti vengono contemporaneamente sgozzati. Non decapitati in un colpo solo, ma sgozzati con la lama seghettata. La vittima dell’incappucciato è in primo piano. Dopo averli sgozzati i terroristi continuano la loro “opera” staccando loro la testa, la telecamera filma il fiume di sangue. Le teste sono ora appoggiate sui corpi disarticolati. La telecamera riprende i volti fieri dei terroristi. Fieri di cosa? E sono anche vestiti da militari, ma che militari? Si dichiarano “figli dell’Islam”, ma questo non è Islam, non è niente.
Tra i boia sembra esserci anche un francese, il cui nome di battaglia sarebbe, secondo gli jihadisti, Abdallah al-Faransi.
All’undicesimo minuto sembra tutto finito. Soprattutto sembra conclusa l’agonia dei soldati siriani. Titoli che sembrano di coda. Altre scene di propaganda appaiono allo schermo. Combattenti dell’ISIS, bandiere, minacce. No, non è finita. Appare un’altra immagine. Kassig, la testa di Kassig ormai decapitato ai piedi del boia. Parla, parla il boia. Non c’è bisogno di capire ma manda un altro messaggio al Presidente statunitense Obama, definendolo “il cane di Roma”.
Anche l’agonia del giovane Kassig è finita. Non sappiamo quando ma è finita come sono finite le speranze della sua famiglia.
Un mujaheddin cammina con la bandiera nera dell’ISIS. Nell’altra imbraccia un fucile.
Luisa Pace