Voglio tornare a parlare di Stefano Cucchi, a pochi giorni dall’assoluzione di tutti gli imputati.
Vorrei poterne parlare “a mente fredda”, ma non ci riesco.
E non tanto per la sentenza, che per me è assurda ma come tutte le sentenze va rispettata, in caso contestata nelle sedi appropriate.
Ma per le reazioni: degli imputati, che mostrano il dito medio al dolore dei famigliari, di certa stampa, e anche di tante persone come me e voi.
La “gente”.
Persone che giudicano giusta, o quanto meno non grave, la morte di un ragazzo sulla base del suo comportamento in vita.
Come se morire o non morire non dipenda da un diritto personale, morale, etico, legale, sociale, ma sia legato alla morale collettiva, al perbenismo, all’ipocrisia.
Gli sporchi, i cattivi, gli zingari, le puttane, i tossici, quelli possono essere malmenati e ammazzati, e le persone perbene no.
Vorrei dire a queste persone che le dipendenze: la droga, l’alcool, il fumo, il gioco, il sesso, non sono appannaggio delle categorie sociali meno abbienti.
Nessuno è immune, nessuna famiglia, nessun ambiente sociale.
E voglio anche dire che Stefano Cucchi era una persona perbene: lo si capisce anche senza averlo conosciuto dalle reazioni dei genitori, della sorella.
Persone composte, che parlano con proprietà di linguaggio e di sentimento.
Persone sconquassate da un dolore immenso, quello di aver perso un figlio due volte, per la morte fisica in cella e per la sua fragilità.
Certo, perché è indubbio che Stefano fosse una persona fragile. Fisicamente, moralmente, emotivamente.
Una persona che cade vittima di una dipendenza terribile, ma che insieme alla droga tiene su di sé medicine importanti per la sua salute.
Uno che ha avuto una storia che probabilmente nessuno vorrebbe capitasse a un suo famigliare.
Però nessuno, ripeto NESSUNO ha mai contestato il fatto che Stefano avesse bisogno di aiuto. Forse anche di galera, chissà.
Non è questo il punto.
Il punto è che Stefano Cucchi è stato preso in custodia dai Carabinieri, e dopo essere passato di mano una quantità di volte che fa rabbrividire, è stato riconsegnato morto ai suoi genitori.
Il punto è che Stefano Cucchi è stato pestato, gli sono state rotte le vertebre, ha perso più di un chilo di peso corporeo al giorno – lui che non era certo un omone – ed è stato abbandonato.
Tutto questo, nell’arco di una settimana, mentre era in mia custodia.
Sì, la mia.
La mia, la vostra, quella di tutti.
Era nelle mani dello Stato, dei servitori dello Stato: guardie carcerarie, medici, forze dell’ordine.
Persone che paghiamo NOI, con le nostre tasse per aiutarci, per proteggerci, a cui demandiamo la salute e la sicurezza delle nostre famiglie ma a cui MAI e poi MAI abbiamo chiesto di lasciare che le persone morissero mentre erano sotto la loro protezione, o che venissero pestate, torturate, e poi uccise.
Stefano Cucchi non è morto per cause naturali, è stato ucciso.
Ma lo Stato, lo stesso Stato che lo ha custodito, non è stato in grado di dirci chi è stato, perché, e in che modo.
Lo Stesso Stato che giudica, condanna e sbatte in galera quando serve, non sa dirci nulla.
Invece io lo voglio sapere.
Io ho il DIRITTO di saperlo.
Perché Stefano Cucchi lo custodivo io, attraverso persone selezionate e stipendiate per farlo, e io voglio sapere perché ho fallito.
Ho il dovere e il diritto di saperlo.