È terrificante quanto emerge da un nuovo sondaggio condotto in Gran Bretagna in merito alle simpatie che può suscitare una struttura terroristica come lo Stato Islamico.
I dati del sondaggio parlano chiaro: un britannico su sette, al di sotto dei 35 anni, guarda con simpatia l’IS.
La percentuale aumenta se riferita ala fascia di età che va dai 18 ai 25 anni e diminuisce se riferita alla città di Londra (1 su 10) o alla Scozia (1 su 12). Percentuali comunque molto alte se si considera il fatto che la Gran Bretagna fa parte della coalizione internazionale in guerra contro lo Stato Islamico e il sondaggio ha preso a campione popolazione musulmana, appartenenti ad altre fedi religiose e anche atei.
Secondo il quotidiano britannico “The Times”, che ha pubblicato il sondaggio, il dato è significativo e dimostra un aumento della disaffezione dei giovani verso la politica, in generale e la mancanza d’interesse per gli affari politici in Gran Bretagna.
Molti dei giovani presi a campione, pur non mostrando particolari simpatie per il gruppo terroristico, ritengono che lo stesso non sia tra le organizzazioni più pericolose al mondo.
A prima vista potrebbe sembrare che si tratti solo di una scarsa conoscenza del fenomeno, nonostante il fatto che gli inglesi risultano molto esposti al rischio di radicalizzazione islamica, tanto che ad ingrossare le fila dello Stato Islamico in Iraq e Siria hanno contribuito centinaia di giovani cittadini inglesi.
In realtà, la situazione è peggiore di quanto possa sembrare a prima vista. L’Inghilterra infatti può essere annoverata tra le nazioni (con Francia, Belgio, Germania, Olanda ed altre) dove da anni è in atto una radicalizzazione dovuta all’intensa attività d’indottrinamento esercitata da studiosi e Imam, o presunti tali, molto attivi su internet. Al falso messaggio profetico di un Islam radicale, che fa molta presa sui giovani musulmani, si aggiunge la spettacolarizzazione dei risultati ottenuti dallo Stato Islamico sui campi di battaglia.
Il disinteresse dei giovani verso la politica, la sfiducia nelle istituzioni, la mancanza di valori e prospettive nella società attuale, fa sì che nascano quei risvolti negativi che rischiano di incidere sull’asseto democratico dei nostri paesi. Colpa di classi politiche inadeguate e della caduta dei regimi valoriali in passato socialmente condivisi .
I giovani di oggi sentono minati i valori di autorealizzazione e quelli di giustizia una sociale e di solidarietà che in un recente passato sono stati riferimento per intere generazioni, finendo così con il cercare sistemi valoriali di riferimento che possano riempire gli spazi lasciati vuoti dai valori tradizionali. Valori che non più totalitari, in Occidente ma non nei paesi del Califfato, possono essere reinterpretati dai singoli individui che si riconoscono in una pluri-appartenenza che non è più quella passata del livello di identificazione politica.
A fronte di un crollo di quello che una volta era il compito e la capacità di educare da parte della famiglia, della scuola e delle istituzioni, assistiamo alla crescita di nuove tecnologie, come nel caso dei social network, che favoriscono canali di socializzazione alternativi a quelli tradizionali che alimentano la disillusione dei giovani verso un futuro sempre più incerto, favorendo così l’attività di proselitismo svolta da falsi predicatori che offrono loro il miraggio di una società più giusta e solidale, alla quale si aggiunge l’effetto della spettacolarizzazione quasi cinematografica di quelle azioni che solo qualche decennio fa avrebbero creato orrore e ribrezzo.
Dalle decapitazioni effettuate dal boia dell’ISIS, John l’inglese, alle battaglie, alla falsa informazione data in pasto all’opinione pubblica da media e siti jihadisti, tutto assume l’aspetto e la sensazionalità di un’opera cinematografica in perfetto stile hollywoodiano.
Persino i morti di questa guerra ci vengono presentati in maniera falsa. Se “martiri” di Jihad, i loro volti sono sorridenti, quasi avessero raggiunto la beatitudine. Se, viceversa, si tratta di “infedeli”, così come vengono definiti dai militanti dell’IS tutti i nemici a prescindere dalla fede religiosa, ecco che allora il loro volto, artatamente preparato dopo il rigor mortis, si trasforma in un’orrenda maschera di dolore. Purtroppo, neppure i bambini vengono risparmiati per questa macabra messinscena che tende ad ampliare il dolore per la perdita di tante vite innocenti e contestualmente a fomentare l’odio verso “i crociati” o “infedeli” che sono la causa delle morti.
La sensibilità e la cultura occidentale non ci permettono di pubblicare le immagini che quotidianamente compaiono dinanzi i nostri occhi, accompagnate da preghiere rivolte ad Allah affinchè punisca gli “infedeli e da esortazioni ai musulmani integralisti a colpire i nemici occidentali anche nelle loro città.
In questo, il messaggio jihadista, che può essere paragonato ad un messaggio virale, trova terreno fertile nella diffusione di un pensiero fondato su false credenze alimentate da imbonitori di masse che diventano vettori di odio e violenza, con conseguenze psicologiche che incideranno profondamente nei sistemi economici e politici dell’Occidente sui quali continueranno ad agire per lungo tempo al di là della violenza reale e dei gravi atti dei quali i terroristi dello Stato Islamico si stanno macchiando.
Se in Occidente abbiamo assistito ad un’evoluzione del pensiero che da Galileo in poi ci ha permesso di vedere l’uomo come parte dell’universo e non al centro dello stesso, abbandonando le credenze religiose che per secoli, anche in maniera barbara, avevano imposto, lo stesso non si può dire per chi affonda le sue radici in un culto fondamentalista che nel corso dei secoli non ha conosciuto i cambiamenti nati dai movimenti sociali, dalla parità dei diritti tra sessi opposti, da un nuovo modo di pensare che ha permesso lo sviluppo di nuove attività ideologiche sfidando gli obiettivi sociali economici e politici ritenuti in passato immutabili.
Nell’arco di qualche generazione abbiamo abolito la schiavitù, stiamo combattendo in favore di una riduzione delle violenze nei confronti di bambini, donne, minoranze, animali. Alcuni di questi cambiamenti hanno richiesto azioni anche violente, come nel caso della lotta alla schiavitù, altri, sono solo frutto di attività repressive e di cambiamento culturale.
Cosa deve insegnarci tutto questo? Prima di tutto che per combattere il fenomeno terroristico non basta la sola repressione che resta comunque un’azione necessaria. È necessario iniziare a pensare a come contrastare l’azione dei mezzi che i terroristi usano per far proseliti, contrapporre alla loro attività di propaganda nuove strategie di inoculazione cognitiva ed emotiva che mostrino i risultati che violenza e odio causano nelle famiglie delle vittime e nelle famiglie di coloro che si uniscono all’organizzazione terroristica.
Un contro-messaggio in grado di spostare il messaggio precedente utilizzandolo come un virus modificato che crei gli anticorpi necessari per la difesa dell’organismo. Un vero e proprio vaccino creato indebolendo la vitalità del virus, al quale deve far seguito l’azione deterrente e punitiva perché la rieducazione non venga percepita come una forma di debolezza.
La lotta al terrorismo, non illudiamoci, non è a breve termine e l’errore più grande che possiamo commettere è quello di considerare lo Stato Islamico come un’organizzazione composta da un gruppo di fanatici che possiamo sconfiggere con qualche bomba e un pugno di proiettili.
Ci troviamo in presenza di una guerra con una componente che affonda le proprie radici in credenze ideologiche veicolate da persone utilizzate come vettori per diffondere odio e violenza e che non può essere vinta solo adottando strategie militari senza un’azione preventiva che cambi gli aspetti culturali.
Gian J. Morici