Parigi – La notizia (nonostante le contraddittorie dichiarazioni dell’Eliseo che di recente colleziona una figuraccia dopo l’altra, specie in materia di terrorismo) è su tutti i giornali: Mehdi Nemmouche, il presunto autore della strage al Museo Ebraico di Bruxelles, sembra avesse pianificato un attentato sugli Champs Elysees a Parigi durante la parata del 14 luglio.
“Il 14 luglio farò cinque volte Merah” – avrebbe detto Nemmouche, sospettato anche di aver avuto un ruolo nel sequestro del giornalista francese Nicolas Henin, avvenuto in Siria il 15 agosto 2005 e forse anche in quello degli altri tre ostaggi francesi poi rilasciati insieme ad Henin.
Didier Francois, Edward Elias, Henin e Pierre Nicolas Torres, che ha poi riconosciuto in Nemmouche uno dei loro rapitori – come riportato dalla stampa francese – rivelano, secondo diverse fonti, che era stata pianificata un’importante azione terroristica: “lo scopo di Nemmouche era quello di effettuare un attacco durante la sfilata a Parigi il 14 luglio” che vede in prima linea il presidente della Repubblica, il Capo di Stato Maggiore delle forze armate e tutti i vertici militari. Senza conoscere esattamente il “target” Nemmouche, le intenzioni dichiarate da “Abu Omar” – nome di battaglia che secondo le ricostruzioni avrebbe adottato Nemmouche in Siria – sarebbero state quelle di portare a termine un attacco di “potenza Merah 5”, il giorno della festa nazionale, “sugli Champs-Elysées”.
Un attentato che avrebbe sconvolto i sonni tranquilli dei francesi, ma anche quelli dei tanti, troppi, “esperti dell’antiterrorismo” che, definendosi tali, scrivono sulle testate giornalistiche più importanti d’Europa. Dalla Francia all’Italia il giornalismo sembra sia diventato appannaggio di presunti giornalisti che da tempo hanno smesso di fare inchiesta.

Nella migliore delle ipotesi, l’informazione viene lasciata ai cronisti che raccontano il fatto di cronaca in sé senza apportare nulla che possa aiutarci a comprendere l’accaduto e gli sviluppi che la stessa vicenda avrà.
Era necessario che Didier Francois, Edward Elias, Henin e Pierre Nicolas Torres tornassero dalla loro prigionia per raccontarci come a Parigi in occasione della parata del 14 luglio si stesse progettando un attentato?
Forse no. Forse i giornalisti avrebbero potuto scrivere del possibile rischio ancor prima che “Abu Omar” si vantasse del fatto di voler compiere un attentato sugli Champs-Elysées. Un rischio da non sottovalutare e del quale avevamo già scritto il 17 marzo.
A noi l’aveva detto la Sibilla Cumana (o per meglio dire il magazine di al-Qaeda) – il più famoso oracolo del mondo antico – che ci aveva informati di come al-Qaeda avesse invitato i fondamentalisti islamici appartenenti all’organizzazione terroristica a colpire alcuni obbiettivi dando anche istruzioni su come realizzare eventualmente potenti ordigni esplosivi fatti in casa. E’ così difficile consultare la rivista dell’organizzazione terroristica dalla quale attingere notizie che, vagliate e analizzate, possono tornare molto utili a chi lavora nel mondo dell’informazione, e non solo in quello?
O, forse, i giornalisti europei sono convinti – come sosteneva un ex magistrato, anche lui (poveri noi) esperto di antiterrorismo – che al-Qaeda sia sconfitta e non possano più nascere organizzazioni terroristiche con le stesse caratteristiche di quella che vide al suo vertice il re del terrore, Osama bin Laden?
Gian J. Morici