di Natya Migliori (Casablanca – Storie dalle città di frontiera)
Il 15 maggio intorno a mezzanotte, la sentenza: Per l’assassinio di Mauro Rostagno sono stati condannati Vincenzo Virga e Vito Mazzara. Una storia processuale lunga e tortuosa. Seguita in modo rispettoso, riservato e determinato da Maddalena, Chicca e Carla la sorella di Mauro. che ha dedicato gli ultimi ventisei anni della sua vita alla ricerca della verità lasciando il suo impiego e contribuendo a fornire alle indagini tasselli importanti. O, a cercar di capire quanto era successo. Raccogliamo le riflessioni della signora Carla subito dopo la sentenza.
Colpevoli! Dopo tre anni e tre mesi, sessantasette udienze, centoquarantaquattro testi ascoltati e quattro perizie tecniche, è sentenza: il boss trapanese Vincenzo Virga ed il killer Vito Mazzara sono rispettivamente il mandante del delitto e l’assassino di Mauro Rostagno, giornalista e sociologo ucciso a Trapani il 26 settembre del 1988.
“Chiddu cca varva” aveva guardato oltre, aveva raccontato verità taglienti come rasoiate, acute come la sua ironia. E cosa nostra non poteva più permettersi di riderne.
Il processo ha una storia lunga e contorta.
Già dall’indomani dell’omicidio le indagini si sono dimostrate inadeguate, dispersive, cieche.
Per un decennio, gli inquirenti trapanesi hanno scandagliato la vita privata di Rostagno, il suo lavoro in Saman – la comunità per il recupero da tossicodipendenze creata dal giornalista insieme all’imprenditore Francesco Cardella- il suo passato in Lotta Continua.
Nel 1998 gli atti passano alla Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo, che iscrive nel registro degli indagati il boss Virga. La pista mafiosa è ufficialmente aperta, ma gli anni trascorsi e le prove oramai inquinate costringono nel 2007 il giudice Antonio Ingroia a richiederne l’archiviazione.
È l’intuito di Giuseppe Linares a rimettere in discussione il caso nel 2008. Attraverso una comparazione balistica che permette di risalire a Vito Mazzara, pluriergastolano, uomo di fiducia di cosa nostra e campione nazionale di tiro al volo, l’ex dirigente della Squadra mobile di Trapani riesce ad aprire, il 2 febbraio del 2010, le porte dell’aula bunker Giovanni Falcone.
A condurre il dibattimento, presieduto dal giudice Angelo Pellino, l’ex giudice di Palermo Antonio Ingroia ed i Pubblici Ministeri della Dda Gaetano Paci e Francesco Del Bene.
Alla difesa, gli avvocati Vito e Salvatore Galluffo per Mazzara, Giuseppe Ingrassia e Stefano Vezzadini per Virga.
Il 15 maggio intorno a mezzanotte, la sentenza.
Cinque pagine, cinque minuti di lettura del dispositivo per sancire in primo grado che ad assassinare Mauro Rostagno è stata la mafia. Il perché è da cercare nelle inchieste del giornalista torinese, in un intreccio oscuro (o forse no) fra mafia, finanza, massoneria, politica e servizi deviati.
“ In carcere il programma di Rostagno lo sentivamo tutti ha dichiarato il collaboratore di giustizia Vincenzo Calcara durante la deposizione dell’11 gennaio 2011- e i commenti erano delle vere e proprie parolacce. Rostagno era pericoloso per ciò che indagava, diceva e faceva. Ma non dava fastidio solo a cosa nostra. Parlava male anche della massoneria e di uomini delle istituzioni che non doveva toccare. In poche parole doveva essere ucciso”.
“ Troppi restano però i nodi da sciogliere – confessa Carla Rostagno, sorella del giornalista e sociologo – Il lavoro dei Pubblici Ministeri, del presidente Pellino, dei periti è stato serio, sobrio puntuale. Ma un ventennio di prove inquinate e depistaggi ci hanno permesso di arrivare, come gli stessi PM ammettono, ad una verità solo parziale”.
A confortare le parole di Carla Rostagno, i fatti.
Sono dieci, infatti, i testi rimandati per falsa testimonianza alla Procura Distrettuale Antimafia di Palermo.
Tra essi Beniamino Cannas ex brigadiere dei Carabinieri, oggi luogotenente al comando di Buseto Palizzolo, Angelo Voza, sottufficiale della Guardia di Finanza, Caterina Ingrasciotta, moglie di Puccio Bulgarella, defunto editore di Rtc, nonché due esponenti della massoneria trapanese ed il giornalista Salvatore Vassallo, direttore di Monitor, all’epoca collaboratore di Rtc.
Stessi occhi del fratello, voce garbata e sicura che ancora si incrina al ricordo della tragedia, Carla Rostagno, che ha dedicato gli ultimi ventisei anni della sua vita alla ricerca della verità lasciando il suo impiego e contribuendo a fornire alle indagini tasselli importanti, non riesce a nascondere una nota amara parlandoci dell’esito del dibattimento.
“La gioia di essere finalmente giunti alla conclusione certa che sia di Mazzara la mano che ha ucciso Mauro -continua Carla- è stata smorzata dalle attese snervanti e dai tanti interrogativi ancora aperti. Il gruppo di fuoco, ad esempio, doveva essere formato da almeno cinque persone e probabilmente non sapremo mai chi erano. Non solo. Rimane il mistero delle due cassette che Mauro portava sempre con sé. O ancora, chi erano gli agenti in borghese che si sono recati la sera del delitto alla redazione di RTC, sottraendo del materiale? I legami fra mafia, massoneria, servizi segreti e politica sporca che Mauro ha svelato e che lo hanno portato alla morte, rimangono uno sfondo intricato. Ma il processo non poteva far luce anche su questi aspetti. Vedremo dove porteranno le indagini di Palermo”.
Quale ritratto di Mauro Rostagno emerge secondo lei dal processo?
“Mi è piaciuto molto come è venuta fuori la figura di mio fratello. Ho percepito nel corso delle udienze enorme rispetto, persino da parte degli avvocati della difesa. È riuscito a farsi amare. Il coraggio di denunciare, l’acume, l’ironia e lo spirito dei suoi editoriali sono senz’altro arrivati alla gente, in un contesto difficile come la Trapani di quegli anni. E i trapanesi, ventisei anni dopo, non l’hanno dimenticato”.
In sessantasette udienze sono stati ascoltati centoquarantaquattro testi. Chi, secondo lei, ha maggiormente contribuito a far luce sul delitto di suo fratello? E chi, al contrario, ha ritenuto ambiguo o fuorviante?
“ Sono stati sicuramente determinanti i periti. È grazie alla tenacia di qualcuno di loro che le indagini sono state riaperte ed è grazie alle comparazioni del Dna che si è riusciti a dimostrare la colpevolezza di Mazzara. In quanto ai testi, è stato chiaro da subito chi ha testimoniato in maniera ambigua e non a caso una decina di loro sono stati rimandati alla procura di Palermo”.
Personalmente pensa che avrebbe potuto fare di più? Ha qualche rimpianto?
I rimpianti li ho sempre avuti e mai mi abbandoneranno. Non aver preso un aereo quando, nella nostra ultima telefonata, l’ho sentito con il morale a terra, sapere che ha dovuto affrontare tutto da solo, con la netta percezione di essere arrivato al capolinea, sono cose che mi lasciano dentro una grande amarezza. Non riuscirò mai a superare la sensazione di non aver fatto abbastanza.
Cosa avrebbe detto Mauro, in uno dei suoi editoriali, del processo e del suo esito?
“ Più che con il processo, sarebbe stato critico con le indagini. Nei ventitre anni trascorsi fra l’attentato e l’apertura del dibattimento sono stati persi tempo, elementi e testimoni preziosi.
Per anni è stato tutto molto pasticciato. Cosa che a Mauro certo non sarebbe sfuggita”.
Cosa cambierà per lei d’ora in avanti?
“ Mi rendo conto adesso che seguire le sue cose era come farlo vivere ancora. Il peso delle carte che ho accumulato in tanti anni di indagine mi sta schiacciando. Mi manca. Ma più di prima mi sento privilegiata ad averlo avuto come fratello. Da ora in poi mi impegnerò a vivere serenamente accanto alla mia famiglia. Ho chiesto loro, senza rendermene conto, un grande sacrificio dedicando gli ultimi ventisei anni della mia vita a cercar di capire quanto era successo. E sono stata fortunata ad averli avuti sempre vicini nella lotta, senza un rimprovero o una lamentela. Le cose cambieranno. Glielo devo.