di Ettore Zanca
Molti psicologi e psichiatri, hanno cercato di chiarire un concetto inflazionato dai giornali. In nessun fatto di cronaca omicidiaria degi ultimi tempi si può parlare di raptus. È una invenzione comoda per giustificare le proprie trascuratezze. Intendiamoci, il gesto inconsulto può farlo chiunque e nel momento meno prevedibile, ma per una legge di grandi numeri, non è possibile che tutti questi episodi siano stati del tutto imprevedibili.
Come può ad esempio una famiglia, ignorare che un uomo si addestra con i coltelli, e vuole andare in Israele a combattere? È possibile che nessuno lo sapesse tra i suoi consanguinei. Ebbene la risposta è sì.
Il covo principale dell’ignoranza totale di un gesto, di una violenza è proprio la famiglia. Che secondo le statistiche uccide più della criminalità organizzata. Una battuta poco felice ma vera, Casa nostra uccide uccide più di Cosa nostra.
In famiglia si ignorano segnali, forse si sottovalutano, e non sempre colpevolmente. Mi rifiuterei di credere che sangue del mio sangue o la persona con cui divido tetto e figli possa farmi male. Invece è proprio così. E non da ora.
Connie Fletcher, giornalista statunitese, ha scritto nel 2010, un libro interessantissimo, che smonta tutti i luoghi comuni sui telefilm come CSI o mericanate simili, e lanciava l’allarme sugli omicidi in famiglia. Un poliziotto da lei intervistato affermava che aveva notato come la maggior parte dei delitti si consumasse tra la cucina e la stanza da letto. E diceva: “forse non ho ragione, ma quando una lite degenera, uno dei due coniugi dovrebbe rompere lo schema e andare in un’altra stanza, e parlare d’altro, disorienta chi dei due è più incazzato. Si litiga in quelle stanze perchè si parla di soldi, di lavoro, di sesso. A questo punto forse, spostandosi nel soggiorno, il massimo che può capitarci è un colpo di telecomando, ma si evita la cucina con i coltelli”.
La riflessione era amara e sarcastica, ma il poliziotto la pronunciava sconfortato.
Hai voglia a fare analisi sociologiche, l’errore di base lo si fa, secondo me, nel cercare di capire la psiche di chi ha fatto violenze e morte in famiglia, cerchi di capire le dinamiche chiamando in causa i familiari.
E molto spesso si trova sano e puro disorientamento, oppure sporca omertà. In ogni caso viene fuori un ritratto delle vittime e dei carnefici non molto aderente alla realtà, perchè frutto di valutazioni non imparziali e distorte dall’affetto e la protezione che per istinto si ha del branco, pure quando ammazza.
Forse per mia distorsione personale, ma non mi fido della prima descrizione di familiari, nemmeno per eventi belli.
Per telefono discutevo con un’amica, in merito a una povera ragazza scomparsa, descritta dai familiari “solare”, mentre gli amici la definivano “molto triste”. In un impeto le ho detto, che se sparissi io, per crisi personale e per mia scelta, spero vivamente che chiedano di me solo ai miei parenti.
Per come mi conoscono e mi descrivono loro, è garantito che sarò irreperibile. Non mi troveranno più, qualunque cosa gli diranno, metteranno i ricercatori totalmente fuori strada.