Ormai dovremmo esserci abituati e le notizie, se non fosse per la loro gravità, dovrebbero farci ridere. I focolai di ebola sviluppatisi di recente in Africa Occidentale ancora una volta dimostrano come l’Italia sia un paese governato da una classe politica incapace di affrontare un’emergenza.
Dinanzi una qualsiasi minaccia, sia essa di natura economica, sanitaria o di ordine pubblico, i nostri rappresentanti di governo adottano la strategia dello struzzo negando il problema e nascondendo la testa sotto la sabbia. Lo abbiamo visto agli inizi della crisi globale quando che governava garantiva che gli italiani non avrebbero perso un solo euro, salvo poi assistere alla chiusura delle aziende e a migliaia di suicidi dei quali non si parla più, lo vediamo oggi che si demanda ad un bravo ragazzotto di provincia il compito di intervenire in materia di emergenze sanitarie e di ordine pubblico. Ancora una volta lo struzzo nasconde la testa sotto la sabbia e con la complicità (iniziale) dei media e di qualche dottorino le cui competenze in materia andrebbero dimostrate, diffonde soporiferi messaggi che in teoria avrebbero il compito di evitare inutili allarmismi e che in realtà finiscono con il generare condizioni favorevoli alla possibile esplosione di epidemie.
L’Italia è un paese a rischio?
Nonostante le tranquillizzanti parole di qualche ministro le cui esperienze maturate nel corso dei suoi giovani anni possono al massimo racchiudersi nella parola “politicante”, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha lanciato l’allarme mondiale per l’epidemia di ebola, non escludendo dunque neppure l’Italia. Una ricerca più accurata porta al sito internet HealthMap che, creato da due ricercatori del Children’s Hospital di Boston, lanciò l’allarme ebola l’allarme” sulla presenza di un focolaio di infezione in Guinea 9 giorni prima che l’OMS diffondesse il primo allarme ufficiale. Il sito HealthMap è ritenuto dalla comunità scientifica internazionale un valido strumento per far fronte all’epidemia cercando di prevenire ulteriori contagi. L’Italia, interessata da notevoli flussi migratori provenienti da paesi a rischio elevato (guarda la mappa), checché ne dicano un paio di ministri che guardano più al timore di inutili allarmismi che non a quello di possibili epidemie, non può certo dirsi esente da pericoli.
Fa un po’ sorridere, seppur amaramente, la dichiarazione del Ministro della Salute Beatrice Lorenzin, secondo la quale il rischio in Italia sarebbe minimo ed è necessario dare informazioni esatte e corrette ai cittadini per far fronte alla forma di panico che in questi giorni si è diffusa nella popolazione. Forse la forma di panico alla quale fa riferimento il Ministro non si sarebbe diffusa se i cittadini avessero potuto avere un po’ più di fiducia in quelle istituzioni che fin dall’inizio hanno negato il possibile rischio non preoccupandosi di informare e formare il personale esposto al pericolo di possibili contagi, dotandolo di quel minimo di equipaggiamento necessario a prevenire ed evitare il diffondersi di malattie contagiose. Vedere operatori (anche volontari che operano nelle strutture di accoglienza) non muniti di mascherine e guanti, non è certo un buon segno. Quando scrivemmo di una febbre emorragica in Guinea ipotizzando un focolaio di ebola un paio di giorni prima che l’OMS ne desse comunicazione ufficiale, facendo seguire alle prime notizie i rischi di possibili altre patologie infettive, quali la Tbc o la malaria (quest’ultima con casi accertati dalle nostre strutture ospedaliere e che è bene ricordare come può essere trasmessa anche da zanzare infette che provengono dai paesi epidemici e di conseguenza anche grazie all’arrivo delle stesse su mezzi di trasporto che sfuggono ai controlli sanitari), fummo tacciati di fare allarmismo. Purtroppo le analisi cliniche dimostrarono successivamente come alcuni operatori impegnati nei soccorsi in mare di migranti provenienti dall’Africa, risultarono positivi ai test sulla Tbc.
Tra il fare allarmismo, con relativa caccia all’untore, e l’avere comportamenti da struzzo che di certo non sono utili a ridurre i rischi di possibili contagi, esiste quella via di mezzo che in Italia sembra si sia dimenticata affidando la comunicazione a qualche bravo ragazzotto di provincia distintosi nella caccia ai ladri di biciclette e un po’ meno in materia di emergenze sanitarie: la prevenzione!
Ebola
Per evitare facili allarmismi, senza per questo sottovalutare il problema, vanno sfatati alcuni miti. Innanzi tutto l’ebola non è la malattia più contagiosa al mondo visto che la trasmissione avviene tramite il contatto fisico con i fluidi corporali e non per via aerea. Con un minimo di conoscenza dei sintomi e delle precauzioni da adottare (igiene, guanti, camici e mascherine), la diffusione del virus può essere contenuta. In Africa, la scarsa igiene, la mancanza di prevenzione e di informazione, unitamente alle condizioni nelle quali versano molte strutture sanitarie, hanno fatto sì che l’ebola si diffondesse velocemente valicando i confini della Guinea. L’adozione delle precauzioni standard in uso in tutte le strutture sanitarie dei paesi più industrializzati, evitando di fare gli struzzi e assicurandosi che questi standard minimi vengano rispettati, impedirebbe la veloce propagazione dell’epidemia. Purtroppo, le difficoltà nel gestire i flussi migratori dall’Africa, fanno sì che molti migranti abbandonino nell’arco di poche ore dal loro arrivo i centri di accoglienza, senza che ci sia stato modo e tempo di accertarsi delle loro condizioni di salute. Sotto questo profilo, la responsabilità non è soltanto di chi ci governa, ma anche in un’Europa inesistente che non ha ancora preso atto di come il problema se dovesse presentarsi in Italia in brevissimo tempo raggiungerebbe le altre nazioni europee trasformandosi in un’epidemia che causerebbe un numero di vittime molto elevato. La scelta di alcune compagnie aeree di interrompere i voli verso i paesi colpiti dal virus o quella della Germania che ha invitato i cittadini tedeschi a lasciare i Paesi colpiti, oltre ad apparire del tutto spropositata sarebbe inapplicabile qualora l’epidemia dovesse raggiungere il nostro continente. L’ebola va combattuta in Africa e tramite la prevenzione nel resto del mondo. Ma fin quando non comprenderemo che non possiamo ignorare le condizioni economico-sanitarie di alcuni paesi, ci troveremo sempre a far fronte a nuove emergenze (sanitarie, di ordine pubblico ecc) che, ci piaccia o meno, avranno serie ripercussioni nei nostri paesi.
Cura
Se è pur vero che ad oggi non esiste un vaccino efficace contro l’ebola, questo non significa che non esistano terapie in grado di aumentare le possibilità di sopravvivenza dei soggetti colpiti dall’infezione. Terapie che di uso comune (antibiotici, coagulanti, trasfusioni e macchinari che aiutino la respirazione e il mantenimento in vita) per combattere molte malattie nel mondo cosiddetto civile, la cui assenza in Africa, grazie al disinteresse dei paesi più industrializzati, ha permesso all’ebola, così come a molte altre malattie, di espandersi a tal punto da costituire una vera minaccia sanitaria globale.
Non è ignorando il problema che si risolve lo stesso. Oggi è l’ebola, ieri era l’Aids, domani potrebbe essere una qualunque altra malattia. Fin quando ci ostineremo a disinteressarci dei paesi più poveri del pianeta (in merito alla cui povertà non siamo esenti da responsabilità) e fin quando ci ostineremo a mettere la testa sotto la sabbia come fanno gli struzzi, le nostre frontiere, anche nel caso dei respingimenti o di altre misure inumane ed ingiustificabili, nel chiudere la porta in faccia a chi ha la colpa di essere soltanto più disgraziato di noi, lascerà la stessa aperta alle conseguenze del nostro menefreghismo e dell’incapacità dei nostri governi.
Gian J. Morici