I Finanzieri del Comando Provinciale di Roma hanno arrestato questa mattina un Assistente Archeologo del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, in servizio presso la Soprintendenza per i Beni Archeologici del Lazio, accusata di plurimi episodi di concussione.
Le indagini, svolte dal Nucleo di Polizia Tributaria di Roma e coordinate dalla locale Procura della Repubblica, hanno consentito di far emergere un “giro” di tangenti che venivano richieste per assicurare il buon esito delle procedure amministrative volte al rilascio del “nulla osta” della Soprintendenza per i Beni Archeologici del Lazio, ovvero di quell’autorizzazione che la legge richiede ai proprietari di aree tutelate dal punto di vista archeologico, che vogliano eseguire opere di intervento edilizio.
Il procedimento relativo ai lavori di natura edilizia su siti di interesse culturale, storico-archeologico o paesaggistico postula, difatti, che il privato interessato sostenga gli oneri finanziari relativi al recupero o alla conservazione del bene tutelato, previa approvazione del progetto da parte dei funzionari della Soprintendenza per i Beni Archeologici, all’esito di verifiche eseguite sul posto e propedeutiche all’ottenimento delle autorizzazioni amministrative necessarie.
In tale contesto, il privato deve nominare un archeologo esterno per sovrintendere ai lavori, estraneo all’organico della Soprintendenza che, a sua volta, con propri funzionari, dovrà controllare il rispetto delle prescrizioni impartite per la realizzazione degli interventi edilizi.
Nel caso in esame, l’assistente archeologa arrestata dalle Fiamme Gialle del Nucleo di Polizia Tributaria di Roma – Gruppo Tutela Patrimonio Archeologico, pretendeva all’incirca 1000 euro per agevolare ciascun procedimento amministrativo che le veniva assegnato.
Le indagini hanno fatto emergere una pluralità di episodi e di condotte finalizzate ad ingenerare nel privato committente una sorta di vera e propria sudditanza psicologica, in modo da fargli affidare la supervisione dei lavori ad archeologi esterni imposti però dai medesimi pubblici funzionari che avrebbero dovuto controllarne il lavoro.
In alcuni casi l’assistente archeologa incassava personalmente i compensi che spettavano all’archeologo di parte privata, per poi riversargli solo una parte della somma ricevuta.
In altri casi, invece, gli archeologi scelti dal privato riconoscevano al funzionario che aveva “caldeggiato”, se non addirittura imposto, l’affidamento dei lavori, una percentuale per avergli consentito di esercitare la propria attività professionale ed avergli “procurato” dei clienti.
Oltre all’odierna arrestata, sono indagati nel medesimo procedimento penale ulteriori 4 persone, tra cui altri 2 appartenenti alla medesima Soprintendenza per i Beni Archeologici del Lazio.