Le parole pronunciate dall’Arcivescovo di Agrigento, Mons. Montenegro, durante la Veglia di Pentecoste, con degna evidenza riportate da don Carmelo Petrone su L’Amico del Popolo e in sordina rimbalzate da quasi tutti i rimanenti media locali, non sembrano aver sortito alcun effetto nella cittadinanza agrigentina e, profetiche come mai, inducono a ulteriori riflessioni.
Mons. Montenegro, infatti, oltre ad individuare nell’incapacità della politica tutta il perdurare dell’altissimo rischio di crollo della Cattedrale della città, questa volta si rivolge direttamente all’intera comunità agrigentina, di fedeli e di laici, per ribadire, disperatamente, che la “mamma malata”, come Egli stesso l’ha definita, muore.
Muore perché dai figli abbandonata nel letto di morte, e tra un “assordante silenzio” si appresta al passaggio ultimo mentre a tutti, distratti dalle piccolezze della propria quotidianità e dalle proprie personali meschinità, non resterà che viver di rimorsi.
Non appaia inappropriata o, peggio, poco rispettosa del pensiero dell’Arcivescovo Montenegro questa estrema sintesi, ma è di tutta evidenza come oggi a morire non è soltanto la “mamma”, ma l’intera famiglia agrigentina, frutto non di un atto di amore, ma disgregata e non riconoscente della vita ricevuta in dono, babele di personalismi meschini.
Cosa è accaduto in città, quale maledizione ha subito per far si che tutto ciò sia?
Di quale terribile incantesimo è stata vittima la cittadinanza per non aver contezza alcuna dello stato di abbandono in cui versa e nel quale vive la propria quotidianità? E soprattutto quale paura, quale vessazione, o quale altro primitivo atto di coazione, di coercizione ha subito e continua a subire, per preferire questo misero presente ad uno di normalità?
Atti di disamore verso i propri figli si susseguono indisturbati, incontrastati, e individuano un futuro di miseria collettiva. Come, infatti, non voler porre in essere qualsiasi straordinaria misura atta a invertire la continua emorragia cittadina di giovani?
Governare una città ed esserne classe dirigente, essere quindi traino culturale ed esempio imprenditoriale vuol dire non solo amministrare, far conti e equilibrare bilanci, ma anche sostenere, incoraggiare, indirizzare ed individuare una via che vada oltre il presente, che suggerisca una speranza futura.
Ad Agrigento, tutto questo, non è accaduto e non accade, e le prove risiedono in ogni angolo di città. Non solo la Cattedrale, ma l’interna città soffre e sembra, oggi, aver cessato di combattere, di sperare.
Ricorre, a breve, il 48° anniversario della frana della zona ovest della città, ed è inutile ricordare ancora cosa abbia significato per la cittadinanza. Non paghi di ciò però, si è permesso che la storia si ripetesse, seppur in forma minore ma non per questo senza enormi ferite e sofferenze, sia in centro storico che al Viale della Vittoria ed in via Pietro Nenni, ed altrove potrebbe palesarsi quanto prima con effetti di brutale emergenza.
Ma tutto ciò accade nella più assoluta indifferenza dell’intera collettività come se stesse ad espiare colpe passate e pagare lo scotto delle proprie scellerate scelte.
Per quanto tempo ancora, ci domandiamo, tutto questo deve continuare? Cos’altro deve accadere ad Agrigento per avviare una vera concreta inversione di rotta?
È in fase di ultimazione una giornata pubblica di incontro e di studio, fissata per il 19 del mese di luglio, sul tema del recupero del Centro Storico di Agrigento, assumendo come principio della discussione l’evento della frana del 1966 e le sue conseguenze sul tessuto antico della città. A parlarne, insieme all’opinione pubblica, docenti universitari di architettura e studiosi di scienze sociali e di storia urbana, nel tentativo di un progetto chiaro e concreto su modalità di azione e prospettive d’intervento culturale.
Il Laboratorio Vallicaldi, che dall’estate del 2013 ha aggregato stratificati ambiti di cittadini, ha posto in essere una serie di misure di rigenerazione urbana, di operosità collettiva che hanno misurato ancora forse gli ultimi battiti di speranza per questa città. E mai pago ha continuato ad aggregare, ricevendo adesioni ad alcune iniziative da parte di altre decine di associazioni ed enti che hanno risposto all’appello sottoscritto poche settimane addietro, attraverso il quale si chiedeva l’apertura di un dibattito pubblico sulla città.
E a tutti loro che ci rivolgiamo nuovamente affinché insieme si possa porre in essere qualsiasi forma condivisa di sostegno alla città, e discutere e insieme individuare tutte le misure urgenti da attuare, consapevoli che se a rispondere non sarà anche l’intera collettività questo sarà l’ultimo, vano, disperato atto prima dell’oblio.
Il Laboratorio Vallicaldi