Diciamocela tutta, la crisi ucraina – ci piaccia o meno – è la prima vera crisi dal dopo “Guerra Fredda”, destinata a cambiare gli equilibri geopolitici del continente europeo, e non soltanto di questo. Una crisi le cui conseguenze rimangono incerte e che ha colto di sorpresa Stati Uniti ed Unione Europea che, nonostante i segnali ci fossero già dal 2008, non sono stati in grado di progettare misure strategiche idonee ad affrontare i grandi cambiamenti che le attuali strategie di Mosca imporranno. L’Europa, in particolare, ha perso anni di tempo prezioso senza organizzare strutture di difesa territoriale ed economica. La necessità di mantenere la crescita economica in un periodo difficile qual è quello attuale, si scontra con la mancata coesione politico-sociale di tutti gli stati membri. Fatta l’Unione Europea, ci si è dimenticati di fare gli europei. Quello che accadde con l’unità d’Italia che mise sotto un’unica bandiera popoli diversi per usi, culture, lingue ed economie, con i risultati che conosciamo tutti. Fatta l’Italia, 150 anni dopo non si è riusciti a fare gli italiani.
L’Europa non ha dinanzi a sé 150 anni di tempo per poter riflettere e creare un’unità che allo stato attuale è rappresentata soltanto da una divisa monetaria peraltro invisa a molti. Una debolezza che ha permesso alla Russia di giocare un’abile partita lasciando credere ai “partner” europei (non bisogna infatti dimenticare l’accordo di partenariato UE-Russia) la possibilità di un progetto di Unione Eurasiatica in grado di competere economicamente con qualsiasi altra nazione (Stati Uniti e Cina compresi) al mondo. Un progetto che già a far data dal 2008 appariva poco credibile, considerati i ritardi dei russi che ostacolavano in tutti i modi l’intensificarsi dei rapporti tra UE e Ucraina e che già allora venivano visti da alcuni analisti delle intelligence occidentali come ritardi funzionali al disegno del Cremlino di recuperare alla Russia i territori controllati dall’allora Unione Sovietica. L’Europa dormiva, anestetizzata dai progetti che ogni singolo stato membro portava avanti per proprio conto, e spesso a discapito di quest’unione che più che tale appare essere soltanto un’accozzaglia di popoli che poco hanno in comune.
Dall’Italia, alla Francia, alla Germania, ogni singolo governo ha cercato di trarre vantaggi da rapporti commerciali condotti dalle singole nazioni con la Russia, dall’energia, alle commesse militari, mentre un’America vinta dal timore di un antiamericanismo crescente e afflitta dall’indecisionismo di Obama, stava a guardare il percorso che avrebbe spinto l’Ucraina in direzione di una scelta tra il sostegno della Russia o quello dell’Unione Europea, con il rischio che oggi possa venir meno da entrambi i lati minando la stabilità economica e politica di un paese che per vari motivi dipende da entrambi. L’amministrazione Obama, contraria all’allargamento di un ruolo militare degli USA in Europa, dopo l’invasione della Crimea si è vista costretta a rassicurare i suoi partner, in particolare i paesi dell’ex Unione Sovietica, inviando sotto l’egida della NATO nove truppe e mezzi e allargando le esportazioni di gas di scisto dagli Stati Uniti per sostituire il gas russo che Putin usa come strumento di ricatto contro l’Europa. Un’arma a doppio taglio quella di Putin visto che se da un lato l’Europa dipende dal gas russo, dall’altro la Russia dipende economicamente dalle esportazioni di gas e se è pur vero che Russia e Cina hanno stretto accordi commerciali, altrettanto vero è che la Cina ha interessi a mantenere rapporti commerciali con Kiev per quanto riguarda le forniture di armamenti militari e che la Russia non sarebbe comunque pronta a sostituire con la Cina gli acquirenti europei.
La notizia che l’Enel sia pronta ad importare gas dagli Stati Uniti, come ha dichiarato l’ad Fulvio Conti in assemblea, non è del tutto inaspettata. Quello che sorprende invece è la dichiarazione dello stesso Conti secondo il quale “non prendiamo invece gas dalla Russia” e che precisa “il gas lo importeremo da diverse fonti, via tubo e via nave, pensiamo a impianti di rigassificazione in Sicilia”, lasciando intendere che il Bel Paese ha sempre preferito il partner a stelle e strisce. Conti forse dimentica il doppiogiochismo di un’italietta che aveva puntato sul gasdotto russo (Southstream) in danno di quello europeo (Nabucco); di rigassificatori progettati dalla stessa azienda per accogliere GNL proveniente da impianti della Gazprom (russa) in Nigeria; di accordi per una centrale nucleare in Italia sotto bandiera di imprese russe; il salto di qualità di Eni ed Enel con l’acquisto della russa Yukos, per non parlare degli affari di Finmeccanica e altro, che ci ha visti alleati di Mosca. Ma se l’italietta è quella dei tradimenti, non migliore sorte è toccata ai francesi il cui presidente Hollande è impegnato a condurre affari con la Russia, l’Iran e l’India.
Affari che puzzano di polvere da sparo e di radioattività. Strani alleati si scelgono gli americani… Paradossalmente, nella vicenda ucraina, il miglior alleato di un’indipendenza della regione potrebbe essere la Cina. Non è infatti un caso se Pechino non ha sostenuto pienamente Mosca astenendosi dalla risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che ha condannato l’annessione della Crimea alla Russia. Pechino ben conosce l’importanza dell’Ucraina come paese esportatore di armi. L’ottavo paese al mondo che sporta armi, fornisce infatti anche la stessa Cina e molte delle parti che compongono mezzi aerei e navali dei russi. Cantieri specializzati nella costruzione dei motori, ma anche nella produzione di missili per aerei da combattimento. Un mercato competitivo e che finora ha permesso ai cinesi di approvvigionarsi di armamenti, ma anche di acquistarli per poi produrli in casa propria. Se Mosca è sempre stata riluttante a vendere alla Cina le sue più recenti tecnologie, Kiev, al contrario, ha venduto a Pechino quegli stessi prototipi che il Cremlino custodiva gelosamente. Pechino sa bene che se Kiev dovesse finire nelle mani di Putin la Cina dipenderebbe militarmente esclusivamente da Mosca.
Di contro, l’ingresso dell’Ucraina nell’UE, potrebbe significare il rispetto delle sanzioni post-Tiananmen contro la Cina e con queste la rinuncia alle forniture di armi. Dalla padella alla brace. La speranza per Pechino resta quella di un’Ucraina indipendente e la possibilità di acquistare armamenti senza dipendere dai voleri di Putin. L’Europa dorme, gli Stati Uniti guardano e Pechino e Mosca studiano…
Gian J. Morici