Da una parte la Russia di Putin pronta a riconquistare i vecchi confini dell’ex Unione Sovietica, dall’altra Obama che governa una nazione la cui credibilità crolla giorno dopo giorno. Piaccia o meno, l’iniquità della politica estera americana, la sonnacchiosa politica delle Nazioni Unite e un’Europa che di unito sembra avere veramente poco, oltre a suscitare un risentimento senza precedenti da parte del mondo arabo sono motivo di divisione nella stessa opinione pubblica occidentale. Le rivolte arabe e la guerra in Siria, i più recenti fatti che riguardano l’Ucraina, rappresentano la cartina al tornasole delle guerre combattute per procura tra le grandi potenze mondiali e dell’assoluta inutilità del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che dimostra tutta la propria impotenza dinanzi questioni di carattere regionale ma che mirano a creare nuovi equilibri a livello globale. La Carta dei Diritti Umani, resta solo un pezzo di carta. Siria , Marocco, Iran , Libano, Egitto , Nigeria, Iraq , Libia, Afghanistan, sono soltanto i nomi delle caselle di uno scacchiere pericolosissimo nel quale si sta giocando la più letale delle partite mai giocate al mondo.
Non è infatti servito a nulla incendiare il Medio Oriente con la cosiddetta Primavera Araba. Non è stato difficile organizzare ed armare popoli insoddisfatti dei propri governi utilizzandone il malessere per rompere accordi in merito alla gestione e alla distribuzione delle risorse energetiche di quell’area del pianeta. Prova ne sia quanto sta accadendo in Libia e in Egitto. Rotto l’asse che vedeva l’alleanza tra Gheddafi e Putin (di Berlusconi é preferibile non parlarne neppure), gli americani credevano di ottenere il controllo delle locali leadership e con questo quello del mercato dell’energia. Le recenti trattative russo-egiziane e le esternazioni saudite in merito alle future relazioni con gli Stati Uniti, denunciano il fallimento delle politiche estere attuate dal governo Obama.
Putin, si sta dimostrando uno stratega molto più abile di quanto gli americani non avessero previsto, capace di sfruttare a proprio vantaggio il risentimento del mondo arabo verso gli Stati Uniti che vedono messe in discussione competenze e credibilità della leadership dell’unica superpotenza al mondo. L’indecisionismo di Obama, le profonde fratture tra Congresso, militari ed intelligence, hanno finito con il mettere in discussione l’autorevolezza della nazione, ingenerando una profonda sfiducia nei Paesi alleati e un minor timore negli avversari, portando i governi arabi a rivalutare pro e contro di un’alleanza che in prospettiva si presenta sempre più di difficile gestione.
Nonostante i leader arabi condannino le politiche russe e iraniane, ritenute immorali, la debolezza politica dell’occidente e la mancanza di un vero partenariato strategico che serva non solo gli interessi degli Stati Uniti ma anche quello dei paesi partner, ha portato ai minimi storici la fiducia del mondo arabo nei confronti di chi per decenni ha voluto proporsi come guardiano dei diritti umani.
L’arma del terrorismo
Le nuove forme di guerra hanno imposto alle potenze mondiali di adeguarsi a scenari ben diversi da quelli che vedevano schierati in campo gli uni contro gli altri eserciti nemici. Dalla seconda guerra mondiale in poi, e per tutto il periodo della cosiddetta “guerra fredda”, USA e Russia diedero luogo ad un feroce combattimento che vide le due superpotenze fronteggiarsi in campi di battaglia che non erano quelli delle rispettive nazioni. Dalla Corea al Vietnam, dall’Afghanistan all’Ucraina, la guerra è andata avanti per procura. Se Mosca finanziava un governo, Washington prontamente ne foraggiava l’opposizione e viceversa. Ma l’opposizione, non sempre era politica. In molti paesi infatti, come accadde in Afghanistan, l’opposizione alle mire espansionistiche del proprio avversario fu rappresentata da organizzazioni terroristiche. Non è ancora cessato il dibattito sulle responsabilità americane in merito alla nascita di al Qaeda e i finanziamenti occulti a bin Laden, che si affaccia il nuovo spettro di Boko Haram, il gruppo di fondamentalisti islamici che all’improvviso fa parlare di sé tutto il mondo.
Chi sono? Da dove nascono? Cosa vogliono? Ancora una volta, la guerra per procura è causa di “danni collaterali”. Se non è difficile incitare un popolo insoddisfatto contro il proprio governo, organizzandone la rivolta armata, più difficile è gestirne successivamente le conseguenze. È accaduto anche in Libia, dove le armi fornite ai ribelli che si opponevano al regime di Gheddafi, sono finite nelle mani delle organizzazioni terroristiche legate ad al Qaeda in tutta l’Africa . Ed è infatti in tutto il continente africano che si assiste ad una recrudescenza del fenomeno terroristico che ha riportato al Qaeda ad essere la più pericolosa organizzazione di terrorismo islamico al mondo. Che la CIA avesse a Bengasi la più importante stazione del Nord Africa, è ormai un fatto notorio e incontrovertibile, così come noto è il fatto che le armi passate attraverso depositi segreti della CIA non sono più rintracciabili e secondo molti potrebbero essere le stesse che oggi imbracciano i fondamentalisti islamici che spargono sangue in tutta l’Africa.
È recente il caso della struttura di Camp Stanley in Texas, portato a conoscenza dell’opinione pubblica nel corso di un’azione legale promossa da Kevin Shipp, un ufficiale della CIA che aveva vissuto con la sua famiglia in una casa di proprietà del governo, la cui vicenda ha permesso ad un analista in pensione, Allen Thomson, di individuare nel Midwest Depot il sito dal quale sarebbero passate un’enorme quantità di armi non rintracciabili destinate a rifornire ribelli che in altre nazioni in quel momento specifico tornavano utili alla politica estera e alla difesa americana ( Angola, Nicaragua, Afghanistan ecc). Una vicenda della quale avevamo già scritto. Non meno noti – quantomeno nel mondo dei servizi e nonostante siano ancora secretati – i rapporti di analisti delle intelligence statunitensi che già nei primi anni 2.000 ritenevano che Osama bin Laden stesse finanziando gruppi terroristici in Africa, con l’obiettivo di imporre il dominio islamico.
Secondo questi rapporti, uno dei gruppi era proprio Boko Haram e a provarlo sarebbero i documenti segreti rinvenuti nel covo di bin Laden in Pakistan nel 2011 che comprendono che la corrispondenza tra i capi delle due organizzazioni terroristiche. La questione, seppur controversa visto che rapporti di altre agenzie fanno rilevare che il re del terrore non rispose a Boko Haram, dimostra come sia difficile attuare un controllo su gruppi fondamentalisti armati in precedenza per combattere il proprio nemico. Tanto più se la difficoltà ad ammettere questi giochi sotterranei porta – come nel caso di Boko Haram – a non riconoscere questi gruppi come organizzazioni terroristiche, se non dopo che gli stessi si rendono protagonisti di azioni delle quali viene a conoscenza l’opinione pubblica mondiale. Lo stesso gioco, sull’altro fronte, lo fa la Russia di Putin, armando e finanziando governi che difficilmente domani potranno essere controllati. Giochi che rischiano di mutare gli equilibri geopolitici del continente africano e in futuro quelli dell’intero pianeta.
In questo scenario, senza una leadership capace e di elevata moralità, al governo americano non sarebbe rimasto altro che mostrare la forza dei suoi muscoli per convincere gli alleati che l’aquila americana è ancora in grado di proteggere i paesi amici, imponendo nel contempo timore e rispetto agli avversari. Ma l’aquila di Obama ha paura di volare e se un’aquila non vola, saranno presto i corvi a volare sul suo capo.
Gian J. Morici