Non mi fraintendere, ti prego. Quando dico “pentito” non mi riferisco certamente a quella sorta di premio che lo Stato italiano elargisce a piene mani ad ex (sperando siano tali) criminali e assassini di ogni genere che beneficiano di leggi – utili ai fini investigativi – che permettono loro di non pagare per tutto quello che hanno commesso e che grazie a taluni scrittori e giornalisti diventano quasi l’emblema di un’antimafia nella quale è difficile riconoscersi.
No. Il mio pentimento, e non potrebbe essere diversamente visto che non ho i trascorsi di questi “moderni eroi”, si riferisce al rammarico che provo quando ripenso a talune mie scelte e alle critiche che ti ho mosso in passato allorquando eri il potente Governatore della Sicilia.
Vedi Totò, io conservo ancora di te il ricordo di quando frequentavamo il Don Bosco di Palermo. Quando tu, che hai qualche anno più di me, eri un giovane liceale, uno studente modello, un ragazzo che aveva dinanzi a sé un futuro roseo.
Io, un monello delle medie. Carattere indipendente, poco propenso ad accettare regole come quelle che ci venivano imposte in collegio. Entrambi di buona famiglia, ma così diversi l’uno dall’altro. Ci siamo incontrati nuovamente quando eri Assessore regionale e poi Governatore. Il mio vecchio compagno d’istituto, sempre con il sorriso sulle labbra, educato, modesto.
Le nostre strade tornarono a dividersi e non ci s’incontro più. Le tue scelte da Governatore, le contestai più volte. Le contestai a mezzo stampa nella qualità di presidente di associazioni di tutela ambientale, le contestai dalle pagine di questo mio giornale. In particolar modo ti contestai l’aver avallato il progetto che prevedeva la realizzazione di un rigassificatore in provincia di Agrigento.
Dal gennaio 2011 non ho più scritto di te. Non aveva senso criticare un uomo che, condannato a sette anni per favoreggiamento a Cosa Nostra, si era presentato spontaneamente dinanzi i cancelli della casa circondariale presso la quale avrebbe dovuto scontare la pena.
Nella vita di errori se ne commettono tanti. Non voglio entrare nel merito delle ragioni che hanno portato alla tua condanna, soltanto tu puoi sapere se fu giusta o meno. Ma di altri errori sì, di questi posso parlartene.
Leggo di come Silvio Berlusconi ha ottenuto parere favorevole alla richiesta di affidamento in prova ai servizi sociali. Mezza giornata di lavoro la settimana. Forse in una struttura per anziani. Neppure un giorno di detenzione ai domiciliari.
Strano Paese quello nostro, dove un disoccupato che ruba alimenti (una fetta d’arrosto, pane, latte), viene condannato a scontare sei mesi di carcere. Dove una vedova 80enne si becca una pena a due mesi e venti giorni per aver rubato alimenti per l’ammontare di 20 euro. Dinanzi a questi fatti ho pensato a te. Ma tra la tua condanna e quella di questi poveracci una differenza c’era: il capo d’imputazione. Persino con Berlusconi c’era questa differenza. Mi sono dunque detto che forse era giusto così.
Oggi invece, leggo di Marcello Dell’Utri, irreperibile da 48 ore dopo che i giudici della Corte d’appello di Palermo hanno firmato l’ordinanza di custodia cautelare per pericolo di fuga. I giornali scrivono che l’ex senatore potrebbe già essere in uno dei suoi rifugi all’estero, tra Santo Domingo, dove possiede l’ormai famosa villa acquistata con i proventi della vendita a Berlusconi della proprietà sul lago di Como, il Libano e la Guinea Bissau.
Ipotesi suggerite da un’intercettazione telefonica di novembre a carico del fratello di Dell’Utri, Alberto, ascoltato mentre parla con un ristoratore romano delle possibili vie di fuga del fratello appunto in Guinea e in Libano.
Mi chiedo dunque come mai non si sia proceduto prima ad arrestarlo. Mi chiedo anche come mai Dell’Utri, che per tutto questo tempo non si è dato alla latitanza, abbia deciso di farlo esattamente nel momento in cui su di lui pendeva un mandato d’arresto. Dovrei chiedermi anche altre cose, ma sarei tacciato di essere un malpensante.
È il caso Dell’Utri in particolare che mi ha fatto pensare a te. Anche su Dell’Utri pende una condanna a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa. Una condanna diversa da quella riportata da chi ha rubato un pezzo di pane. Certo, sarebbe facile dire che “chi ruba poco va in galera e chi ruba molto fa carriera”, laddove rubare sta per l’aver commesso reati più o meno gravi. Con le vicende Dell’Utri e Berlusconi sarebbe fin troppo facile.
Ma ecco che invece arrivi tu e vai a stravolgere tutto. Rischi di turbare i sonni tranquilli degli italiani. Totò Cuffaro, ex Governatore della Sicilia, ex Senatore, si è costituito ed è andato in carcere. Sei un uomo intelligente e sicuramente non ti sarebbero mancate le possibilità di fare quello che altri stanno facendo. Eppure, non capisco proprio il perchè, hai fatto una scelta diversa.
Torno dunque al mio pentimento e ai tuoi errori. Visto che l’Italia è questa, sono pentito per tutto quello che ho scritto in merito le tue scelte, in merito alle tue presunte frequentazioni. Pentito persino delle scelte che ho fatto io decidendo di stare da quella parte che sentivo più mia. Quella parte che sogna un Paese laddove la Giustizia non sia soltanto una parola vuota da utilizzare nei convegni o sulle pagine dei giornali. Pentito, perchè non riconosco a quest’antimafia parolaia i valori di Giustizia e Legalità ai quali dice d’ispirarsi. Pentito, perchè Stato e mafia, come diceva Borsellino, sono due poteri che se non possono combattersi si alleano. E oggi li vedo più alleati che mai.
Ti starai chiedendo dei tuoi errori. Semplice, ma cosa ci stai a fare in carcere quando in Italia ormai ci va solo chi non ha commesso niente? A questo punto mi sorge un altro dubbio. Ma forse è meglio che io non ne scriva…
Con affetto, e stima per la tua “errata” scelta
il tuo vecchio compagno d’istituto Gian J. Morici